AttentialcaneEcco perchè vado in montagna, lettera a mio figlio

Ciao ragazzo, stai un attimo a sentire, se hai un po’ di pazienza. Vorrei cercare di spiegarti perché, ogni tanto, prendo e vado. Su in alto. Spesso da solo, qualche volta anche con te. Non voglio...

Ciao ragazzo, stai un attimo a sentire, se hai un po’ di pazienza.

Vorrei cercare di spiegarti perché, ogni tanto, prendo e vado. Su in alto. Spesso da solo, qualche volta anche con te.
Non voglio “evadere”, “ricaricare le pile”, come si dice oggi. E nemmeno fare la rivoluzione.
Non ti fidare di chi afferma che il “passo lento” è una forma di rivolta contro la società meccanizzata e disumana e parla di gabbie d’acciaio.

Balle! Sì, questo non è il migliore dei mondi possibili, ma quelli che fanno certi discorsi hanno un’idea troppo generosa di se stessi e della proprie capacità. Pensano di essere migliori delle cose e delle persone da cui vogliono evadere. Credono che la società sia solo brutta e alienante.
Non lo è, non farti fregare. Vivici dentro. A me, per esempio, piace quello che faccio quaggiù, la gente che vedo. Non voglio evadere da nulla e da nessuno.

E non vado in montagna soltanto per il ruggito del vento che scuote le faggete, per i grilli che saltano sugli scarponi quando cammino, per la notte con le stelle che sembrano una manciata di ghiaia tirata su, per l’esattezza scolpita delle ginestre. Hai presente robe tipo le nubi che premono sui prati sommitali, il drappo del cielo quando scolora il giorno, la livrea di mille verdi dell’Appennino in primavera?
Sì, devo ammettere che non sono male e sarebbe una bugia se ti dicessi che non mi piacciono.
Ma non sono tutto.
Non sono decisivi.

Io in montagna ci vado per misurare la mia libertà. Sul serio. La libertà effettiva, non quella di chi gira in tondo, di chi evade.
Mi sforzo di scavare con la pala, tolgo il superfluo e quando sento il cozzo del metallo sulla roccia, ecco raggiunto il limite, la misura. Perché non esiste libertà senza limite e senza misura.
La montagna è confine dell’io, esercizio del possibile, il piolo di una scala senza la quale non si sale da nessuna parte. Non è un’estensione di te, la montagna. È lei a dettare le regole del vagare, senza disciplina non c’è vagabondaggio e senza orizzonte siamo tutti ciechi.
A me piace andare proprio perché desidero un margine, non perché me ne voglio liberare. Mi incammino per cercare di colmare una mancanza, non perché mi sento così gonfio da non accogliere altri pieni.

Credo che questo sforzo ci renda uomini decenti. E mi piacerebbe che, da grande, tu tentassi di farlo.

Papà.

Con questo testo sto partecipando a un contest di racconti sulla montagna.

Qui c’è il link con il pezzo. Se vi piace (e se si va) dite che vi piace.

Ciao, ragazzi!

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