C’è qualcosa che mi sfugge se guardo i movimenti nel mondo del credito cooperativo. Sono stati pochi i commenti alle disposizioni attuative di Banca d’Italia sulla normativa secondaria per la riforma del Credito cooperativo. Federcasse si è espressa con pacatezza ed equilibrio sulla positività di alcune osservazioni accettate da Banca d’Italia rinnovando l’invito a tutti per lavorare all’unità del sistema creditizio cooperativo. Nessun commento, invece, da parte dei vertici del Gruppo Cassa Centrale Banca, impegnati nel roadshow in tutta Italia per cercare adesioni al progetto di costituzione di un secondo gruppo cooperativo.
Quindi? Perché un secondo gruppo se l’obiettivo è lo stesso di chi lavora per il gruppo unico? E soprattutto, perché nel loro Giro d’Italia non affrontano le questioni vere? Che sono poi quelle che consigliano la creazione del gruppo unico, ossia maggior forza patrimoniale, identità unica in tutta la Penisola, più risorse per gli investimenti e l’innovazione e maggiori sinergie…abbattimento dei costi senza intaccare i servizi
Leggendo le loro dichiarazioni, la mia reazione è stata: come non essere d’accordo? Il presidente del Gruppo Fracalossi si propone di “salvaguardare e valorizzare il rapporto con il territorio e l’identità della banca locale… Le BCC servono al Paese, l’Italia ha bisogno di un sistema di piccole banche di territorio perché conoscono il linguaggio delle famiglie e delle piccole e medie imprese”. Quindi? Perché un secondo gruppo se l’obiettivo è lo stesso di chi lavora per il gruppo unico? E soprattutto, perché nel loro Giro d’Italia non affrontano le questioni vere? Che sono poi quelle che consigliano la creazione del gruppo unico, ossia maggior forza patrimoniale, identità unica in tutta la Penisola, più risorse per gli investimenti e l’innovazione e maggiori sinergie, quindi abbattimento dei costi senza intaccare i servizi (che, anzi, con la razionalizzazione, potranno essere più efficienti). Ripeto: perché?
Vedo troppi avvoltoi volare bassi e pronti a piombare sulle banche piccole, se queste saranno divise e deboli.
Perché, se la più grande Bcc d’Italia, quella di Roma, che poteva fare senza problemi la way out decide di entrare in un gruppo, accettando quindi le possibili diminuzioni di autonomia ma comprendendone le ragioni più profonde legate al sistema, alla rappresentatività e alla sostenibilità, altre, di dimensioni inferiori, fanno altrimenti? E perché lo fanno proprio quando e banche grandi (leggi MPS) nei piani industriali decidono di puntare ai territori, agli spazi e ai clienti oggi delle BCC. Non vedono il pericolo della divisione, quindi dell’indebolimento, nei confronti dei big che hanno nel mirino le nostre quote di mercato? È di pubblico dominio che il progetto di Cassa Centrale vedrà l’ingresso di un socio al 25% e che questo soggetto è tedesco. E qui ci capisco sempre meno: cosa ha a che spartire Dz Bank con l’identità delle nostre banche locali e le altre belle parole sui territori? Vedo troppi avvoltoi volare bassi e pronti a piombare sulle banche piccole, se queste saranno divise e deboli. Gli spaventapasseri fanno soltanto sorridere… gli altri