La disfatta di Renzi predetta da Machiavelli

La morale della disfatta del Sì e di Matteo Renzi la si rinviene tutta in Niccolò Machiavelli, il padre della politica moderna, colui che elevò a scienza l'arte del governo. Anche Machiavelli, com...

La morale della disfatta del Sì e di Matteo Renzi la si rinviene tutta in Niccolò Machiavelli, il padre della politica moderna, colui che elevò a scienza l’arte del governo.

Anche Machiavelli, come Renzi, perse le sue prime primarie il 18 febbraio 1498, quando presentò la propria candidatura a segretario della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli venne preferito un candidato savonaroliano. Poco dopo la fine dell’avventura politica e religiosa del frate ferrarese, il 28 maggio Machiavelli fu nuovamente designato alla carica per poi venire eletto il 15 giugno, probabilmente grazie all’autorevole raccomandazione del Primo segretario della Repubblica, Marcello Virgilio Adriani.

Quindici anni dopo Machiavelli diede alle stampe Il Principe, trattato di scienza politica nel quale egli espose le caratteristiche dei principati e dei metodi per mantenerli e conquistarli.

Il Capitolo VI è dedicato a “I nuovi principati che si conquistano con le forze proprie e la virtù”. E’ in questo capitolo che Machiavelli predice la sconfitta di Renzi e ne spiega le ragioni. La traduzione è libera, ma riflette bene il pensiero dell’autore.

“Non vi è cosa più difficile da condurre, più incerta da realizzare, né cosa più pericolosa da gestire – dice il sommo politico fiorentino – che mettersi a capo di grandi cambiamenti. Invero, colui che ci prova avrà per nemici tutti coloro che traggono vantaggio dall’ordine esistente e, per contro, troverà solo tiepidi sostenitori tra coloro che dal nuovo ordine trarrebbero beneficio. Questa tiepidezza nasce in parte dalla paura per gli avversari, che hanno dalla loro le leggi vigenti, e in parte dallo scetticismo degli uomini, i quali non credono nelle novità se non quando le vedono ben consolidate. Per questo accade che coloro che avversano il cambiamento trovino occasione facile di assaltare e lo facciano partigianamente, mentre coloro che lo sostengono si trovino a difendere tiepidamente. È necessario, pertanto, valutare se gli innovatori si reggano sulle loro forze o se dipendano da altri: cioè se per realizzare i loro intenti, debbano chiedere aiuto oppure possano contare solo sulle proprie forze. Perché nel primo caso finiranno sempre male e non arriveranno a realizzare nulla”.

Machiavelli ci ricorda che colui che si candida a guidare il rinnovamento di una democrazia (ed in particolare di una democrazia come quella italiana), commette un peccato mortale a giocar d’azzardo puntando tutto su se stesso se non può, in realtà, contare solo sulle proprie forze, perché così facendo mette a repentaglio quello stesso rinnovamento che va cercando.

Il riformatore che non possa contare solo sulle proprie forze dovrà, pertanto, adottare una strategia diversa.

Per cui altro che grande Presidente, scusate. Ingenuità, narcisismo e slide hanno avvilito un potenziale che era enorme (e che forse, all’inizio, poteva sì reggersi da sé), affossando una riforma di cui avevamo disperato bisogno. Voglio vedere quanti senatori voteranno di nuovo il loro pensionamento anticipato.

Ad maiora.

Piero Cecchinato