L’Europa a più velocità profetizzata da Angela Merkel esiste già. In un settore strategico come quello dell’energia l’Unione europea è divisa in diversi schieramenti che possono essere tracciati disegnando sulla mappa del Vecchio continente i percorsi dei gasdotti che portano trasportano gli idrocarburi. Ma anche sul versante dei prezzi, i consumatori europei vivono condizioni ben differenti a seconda delle posizioni geografiche.
Ma come funziona in concreto quest’Europa energetica a due velocità. Da una parte c’è la Germania che (assieme a Francia, Belgio, Olanda) fa affidamento su Nord Stream, la pipeline che collega la Russia al territorio tedesco bypassando i Paesi baltici e la Polonia. Mosca è il principale fornitore per l’Europa di gas naturale, una situazione che non piace a diversi paesi dell’Europa dell’Est e dei Balcani (Polonia, Paesi Baltici, Austria, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria) che vorrebbero diminuire la dipendenza dalle importazioni di gas russo e diversificare le fonti di approvvigionamento. Questo fronte ha trovato l’appoggio della Commissione europea che ha accusato Gazprom di abuso di posizione dominante. Il timore di una maxi multa (10 miliardi di euro) ha spinto la compagnia guidata da Aleksej Miller a presentare una proposta di accordo a Bruxelles per trovare una soluzione negoziale.
La spaccatura all’interno della Ue si alimenta anche sulla questione del Nord Stream 2 che prevede la costruzione di altre due linee del gasdotto entro il 2019, raddoppiando la capacità di trasporto diretto del gas proveniente dalla Russia verso la Germania attraverso il mar Baltico del Nord. Un’operazione osteggiata dai paesi dell’Europa orientale e che ha incontrato anche le perplessità dell’Italia. L’ex premier Matteo Renzi aveva chiesto alla Commissione di accertare che Nord Stream 2 rispettasse i criteri delineati nella strategia energetica europea e cioè quelli relativi alla diversificazione delle fonti e delle rotte di approvvigionamento.
In Europa meridionale si ripropone lo stesso schema. La Russia aveva messo in cantiere la realizzazione del South Stream, progetto volto alla costruzione di un nuovo gasdotto capace di connettere direttamente Russia e Unione europea, eliminando ogni Paese extra europeo dal tracciato. Si tratta di un progetto osteggiato dalla Ue ma sostenuto da Germania, Francia, Olanda e Belgio che, però sembra essere ormai rottamato. La Bulgaria ha smesso di lavorare al gasdotto su indicazione della Commissione. Mossa che ha spinto il Cremlino a puntare sul Turkish Stream, il gasdotto rivolto ai mercati europei che era rimasto in stand-by a causa dalla crisi tra Mosca e Ankara. Come via alternativa ai gasdotti dell’Europa del Nord i paesi mediterranei hanno puntato sulla Trans-Adriatic Pipeline (Tap), il gasdotto di 870 chilometri che dovrebbe trasportare il gas dell’Azerbaijan verso l’Europa meridionale.
Altrettanto cruciale è il tema dei prezzi dell’energia. Qui la differenza tra un’Europa locomotiva di bassi prezzi messi a disposizione per i consumatori e un’Europa invece delle lumache dove fonti come il gas, ad esempio, si pagano di più: ed è questo il caso dell’Italia. Secondo gli ultimi dati Eurostat, infatti, il nostro paese rimane il 26 per cento più caro della media Ue nel pagare il gas, superato da Spagna, Grecia, Portogallo e Repubblica Ceca. A fare la differenza la presenza di hub transnazionali che di fatto gestiscono il mercato, ecco perché i paesi che li controllano sono, alla fine dei conti, quelli che fanno pagare meno l’energia. Basti pensare all’Olanda, dove è attivo uno degli hub del gas più importanti in Europa, quello di Zeebrugge e dove il prezzo finale del gas per famiglia è mediamente inferiore del 5/6 per cento rispetto a quello italiano, sempre secondo le ultime stime dell’Ufficio europeo di statistica. Ecco perché è così importante che l’Italia diventi presto un hub del gas del Mediterraneo, la nuova locomotiva energetica per il Mare nostrum.