Andrea Agnelli sapeva dell’estrazione sociale, diciamo così, di Rocco Dominello. Lo dicono alcune intercettazioni, secretate ma rese pubbliche dall’Huffington Post, presentate dal procuratore federale Giuseppe Pecoraro nell’audizione in Commissione antimafia. Intercettazioni delle quali il club non sapeva l’esistenza, almeno secondo il legale del club, l’avvocato Chiappero, che davanti alla stessa Commissione ha negato contatti tra il presidente bianconero e Dominello. Ma Rosy Bindi, che quella Commissione la presiede, ha citato le intercettazioni che mettono Agnelli in una posizione difficile (qui l’audio dell’intera audizione). Difficile, perché rischia l’inibizione fino a tre mesi: il suo ruolo da presidente verrebbe messo in crisi, dando ancora più vigore a quelle voci che vogliono Andrea in lotta con il cugino John Elkann, che lo preferirebbe lontano dalla poltrona di presidente. In mezzo a questi veri o presunti giochi di potete tutti familiari, emergono alcuni fatti. Il primo: che la posizione della Juventus non ha rilevanza penale. Il coinvolgimento di Agnelli verrà Valutato solo in sede di giustizia sportiva. Il secondo: per chi ha fame di vendetta e sbava per rivedere la Juve in B, dovrà farsene una ragione. La Juventus rischia una ammenda di 50mila euro, oltre le inibizioni da uno a tre mesi per i dirigenti coinvolti.
Ma c’è un altro aspetto, un terzo fatto, importantissimo, il più importante. Che va oltre la quesione di colori, appartenenze, tifo: ed è la possibilità per la Juve di scoperchiare un vaso putrido, nel quale alloggia parte del nostro calcio. Attenzione: qui non stiamo dicendo né che Agnelli è una vittima, né che è un mafioso e tantomeno che può diventare un eroe nazionale. Stiamo dicendo che si può tracciare una strada nuova. Quella che per certi versi hanno provato a intraprendere giocatori come Paolo Maldini, che non amava intrattenere rapporti con certi tifosi e da certi tifosi venne fischiato il giorno dell’addio a San Siro. O come hanno fatto dirigenti come Claudio Lotito, che ha tolto il merchandising agli Irriducibili della Lazio e si è ritrovato a girare sotto scorta.
Già, perché il problema sta nei contatti tra la Juventus ed esponenti della ndrangheta nell’ambito della gestione (e relativo bagarinaggio) di alcuni biglietti per lo Stadium. Dominello, che è stato arrestato lo scorso luglio assieme al padre Saverio per associazione mafiosa e tentato omicidio, per anni è appartenuto ai “Drughi” (noto gruppo di ultras bianconeri) ed è tra i fondatori di un altro gruppo ultras, i “Gobbi” – che fino al 2014 aveva unpo spazio nella curva juventina dello Stadium – e ha preso in mano la gestione della rivendita di biglietti grazie all’intermediazione di Fabio Germani (ex ultrà e presidente dell’associazione “Italia Bianconera”), indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo che seguirà all’inchiesta Alto Piemonte della procura di Torino servirà a chiarire e definire meglio la presenza della ndrangheta nel Nord Ovest d’Italia. E sebbene sia utile ricordare che la Juventus non sia stata coinvolta nei rinvii a giudizio seguiti alla chiusura dell’inchiesta, il suo presidente deve difendersi in sede sportiva. Dove i suoi legali avranno cose da chiarire. A cominciare dalle dichiarazioni rilasciate dal loro assistito nella conferenza stampa indetta sabato, nella quale ha negato tutto. Le intercettazioni paiono dire il contrario. Ora sta ad Agnelli dire la verità. E spiegare tutto: cosa è successo, se è stato fatto di proposito, o se è stato costretto a intessere certi rapporti. O se è stato invece un fatto di “leggerezza”.