In Italia l’86% delle imprese con dipendenti hanno meno di 10 lavoratori. Ciò vuol dire che, in molti casi, la selezione del personale non passa per una figura specializzata in selezione delle risorse umane, ma dipende direttamente dall’imprenditore tuttofare. Imprenditore che, occorre ricordarlo, oltre a dover gestire l’impresa, deve fare i conti con una burocrazia soffocante, tenersi alla larga da una giustizia lenta e minacciosa (quante storie abbiamo letto di errori giudiziari che hanno fatto chiudere le imprese?), e infine occuparsi della selezione dei dipendenti.
Con amarezza bisogna quindi ammettere che forse il ministro Poletti ha ragione: le relazioni personali, il calcetto, possono essere funzionali alla ricerca di un lavoro più dei curricula. Soprattutto laddove l’imprenditore tuttofare ha anche il compito di occuparsi di scegliere i lavoratori quando non è troppo impegnato a gestire l’impresa o a risolvere qualche grana.
Al di là della polemica sul “calcetto” (che di fatto discrimina le donne, gli introversi e coloro i quali hanno hobby diversi dal calcetto), dalle parole del ministro traspare un fallimento politico: il governo non è stato in grado di liberare le imprese da uno Stato opprimente.
Nel 2016 – secondo i dati del rapporto Doing Business – gli imprenditori e le imprenditrici del nostro Paese hanno devoluto allo Stato il 62% dei profitti di impresa e circa 240 ore del loro tempo per pagare le tasse (10 giorni interi!). Per non parlare delle spese e delle preoccupazioni che possono discendere da una qualsiasi disputa giudiziaria o tributaria…
Etichettare come “gaffe” le parole del ministro Poletti è un errore. Il ministro non ha fatto una gaffe: ha confessato. Ha confessato le responsabilità politiche sue e di un governo che non è riuscito a cambiare la prospettiva di un mondo imprenditoriale che resta piccolo perché restare piccoli è leggermente meno difficile che provare a crescere. In compenso in Italia abbiamo “l’unica azienda al mondo che ha in programma di assumere oltre 80.000 persone: lo Stato” (cit. Nicola Porro).