Altiero Spinelli, il fondatore del federalismo europeo, scrisse nel ‘Manifesto di Ventotene’ (1941) che ‘La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale (…) e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.’
In sostanza, Spinelli (e i suoi co-autori Rossi e Colorni) scriveva di una divisione tra ‘nazionalismo’ e ‘federalismo’. A distanza di 76 anni, il nazionalismo e’ di nuovo alla ribalta, mentre l’idea federalista (e piu’ in generale quella di ‘integrazione politica’) e’ stata danneggiata dagli errori e dai problemi dell’Unione europea. A parte le istituzioni sovra- ed internazionali, il nazionalismo ha poi corroso la qualita’ stessa della democrazia. Per semplificare, proviamo ora a dividere l’occidente e l’Europa in ‘Ovest’ ed ‘Est’, vecchie e nuove democrazie.
L’Europa occidentale ha visto l’ascesa di nazionalismi populisti da piu’ di vent’anni. I volti di Geert Wilders, Marine Le Pen, Matteo Salvini, Nigel Farage e numerosi altri sono ormai noti e familiari a molti, nei media, nel mondo accademico e naturalmente tra gli elettori. Siamo stati rassicurati circa le loro credenziali democratiche e il rispetto per le ‘regole del gioco’, ma fino a che punto possiamo fidarci? Possiamo fidarci di chi (Geert Wilders) ha più volte chiesto il divieto del Corano? A che punto è Marine Le Pen veramente pronta a tagliare i legami con l’eredità di suo padre? L’intolleranza, il razzismo, il nazionalismo, la critica dei ‘valori europei’ difficilmente possono coesistere con i valori e le istituzioni democratiche, in particolare in tempi di persistente crisi economica. Partiti e leaders politici possono a parole dirsi democratici, ma le loro reali possibilità di scelta e azioni saranno influenzate dalle condizioni in cui vivono (le ‘strutture’ di tanta teoria sociale …). Inoltre, il nazionalismo populista è anche il risultato delle debolezze di classi dirigenti che hanno troppo spesso scelto l’opzione non molto democratica (ma confortevole!) di ‘grandi coalizioni’, che in un certo senso sono la degenerazione delle forze ‘internazionaliste’ di Spinelli.
La Germania ha avuto un governo di coalizione negli anni 2005-2009 e poi di nuovo dal 2013, l’Italia ha conosciuto un governo di unità nazionale guidato da un tecnocrate, Mario Monti, nel 2011-13, seguito da una ‘quasi’ grande coalizione con i Primi ministri Letta, Renzi, e Gentiloni. L’ Austria ha visto i due maggiori partiti al potere insieme dal 2006. In paesi come Belgio e Paesi Bassi, i governi di coalizione sono una sorta di tradizione, anche se alcuni partiti ‘tradizionali’, come i Laburisti olandesi sono nel frattempo quasi scomparsi (vedi le recenti elezioni). I governi di coalizione sono in qualche modo accettabili in tempi di crisi (come nella seconda guerra mondiale in Gran Bretagna), ma nel lungo periodo tendono a diventare conservatori, negoziare su ogni dettaglio, e perdere di vista obiettivi politici più audaci. La retorica europeista di Frau Merkel purtroppo si e’ tradotta in poco piu’ che (paternalistiche e finanziariamente dolorose) critiche ai ‘dissoluti’ paesi dell’Europa meridionale. Questa è dogmatica (o opportunistica?) fedeltà ai diktat neoliberisti, nient’altro.
L’ Europa orientale ha subito le conseguenze di un neoliberismo imposto prima e in modo più duro, che ha portato a quelle che a volte sono chiamate ‘democrazie illiberali’. Non si tratta soltanto di un’etichetta accademica o mediatica, ma è il modo stesso in cui Orban fa riferimento alla ‘sua’ Ungheria. Orban ha costantemente respinto i valori liberali, che sono al centro del progetto europeo.
Mentre la sua politica e’ stata in generale piuttosto opportunistica, non esiste qualcosa cosa come una ‘democrazia illiberale’: si tratta di una contraddizione in termini. Cercando di invertire le parole e scrivere di ‘autocrazia liberale’, come proposto da alcuni studiosi, non cambia i termini dell’equazione. L’Ungheria di Orban ha più di un aspetto autoritario e dovrebbe essere punita dall’Unione europea, anche se – a dire il vero – si tratta di una risposta prevedibile agli eccessi neoliberisti di quelle forze internazionaliste (tra cui George Soros, di origine ungherese) che hanno portato a Budapest il mercato senza la politica, per non parlare della politica europea. Il vuoto socio-economico degli anni 1990 è stato ancora una volta colmato dalle sirene del nazionalismo – non è una grande sorpresa, dopo tutto. Tra i ‘modelli’ cui Orban si è riferito in più di un’occasione, ci sono Turchia e Cina.
La Turchia è un caso chiave perché fino ai primi anni 2000 Ankara guardava ad ovest e all’adesione all’UE, un’opzione che era vista come un modo per modernizzare ulteriormente il paese e consolidare le sue fragili credenziali democratiche. Ora il paese rischia di diventare un one-man show, soprattutto dopo che un Erdoğan assetato di potere ha vinto il referendum costituzionale (16 aprile), che trasformerebbe la Turchia in una repubblica presidenziale. Il rispetto delle libertà e dei diritti è diminuito enormemente, e il paese sta scivolando verso l’autoritarismo e una combinazione tossica di neoliberismo e Islam politico. Può questo essere un modello per stati come l’Ungheria, che sono ‘ancora’ membri dell’Unione europea?
La Cina, naturalmente, è un esempio molto più grande e più importante. Le sue aziende stanno investendo il mondo intero in un vortice di investimenti, acquisizioni e diplomazia economica. La Cina non è democratica, se i concetti politici hanno senso. Tuttavia, ha gestito la globalizzazione meglio di qualsiasi altro paese e ha qualcosa da offrire, e cioè l’idea (un po’ meno la pratica) di ‘meritocrazia’, che è profondamente radicata nella cultura confuciana. Lo studioso canadese, Daniel A. Bell, ha notoriamente esaltato le virtù meritocratiche della Cina.
Mentre la realtà e’ forse ancora diversa dall’ideale, la Cina ha una lezione per l’Occidente. La qualità delle nostre classi politiche è enormemente diminuita, come i principali eventi del 2016 hanno chiarito. La democrazia dovrebbe aiutare a ‘selezionare’, non solo ‘eleggere’ i leader. Purtroppo, i nazionalismi populisti sono stati una scarsa risposta alle inadeguatezze delle elite internazionaliste (o ‘federaliste’, per tornare a Spinelli) che, in particolare in Europa, avrebbero dovuto governare nel ventunesimo secolo.
Le prossime elezioni, in Francia, Germania, e altrove, segneranno uno spartiacque. E tempo di scelte. I nazionalisti sostengono di rispettare il gioco democratico, ma è difficile dimenticare che anche il fascismo aveva affermato di essere una democrazia, di un tipo ‘organizzato, centralizzato, autoritario’. Da che parte della divisione di Spinelli scegliamo di stare?
Una versione in inglese dell’articolo e’ comparsa su Open Democracy: https://www.opendemocracy.net/can-europe-make-it/ernesto-gallo-giovanni-biava/choice-democracy-caught-between-nationalism-and-federalism