Ha fatto notizia l’annuncio dell’assessora alla Roma Semplice, Flavia Marzano, sulla rivoluzione digitale che il Movimento 5 Stelle intende promuovere nella Capitale. L’idea è introdurre petizioni popolari on line con la possibilità di illustrarle in aula, l’abolizione del quorum di partecipazione per i referendum comunali con il voto elettronico e l’introduzione del bilancio partecipativo. Attraverso una modifica dello Statuto di Roma Capitale si vuole passare, come è stato sostenuto nella conferenza stampa di qualche giorno fa, da Mafia Capitale alla capitale della democrazia diretta. Come ha dichiarato la Sindaca Raggi sul blog di Beppe Grillo “la democrazia rappresentativa si sta destrutturando e stanno emergendo nuove forme di partecipazione popolare dal basso in tutto il mondo, anche per la difesa dei servizi pubblici locali. Devono essere i cittadini e le comunità locali a governare le città attraverso internet, utilizzando l’intelligenza collettiva. Il web sta rivoluzionando i rapporti esistenti tra cittadini ed istituzioni rendendo attuabile la democrazia diretta, così come applicata ad Atene e nell’antica Grecia”. Le risposte non si sono fatte attendere e, aldilà delle critiche delle opposizioni, Sabino Cassese dalle colonne del Corriere della Sera ha bocciato senza appello la proposta ricordando come Norberto Bobbio sostenesse che il cittadino totale, chiamato a partecipare dalla mattina alla sera alle decisioni della comunità, è non meno minaccioso dello Stato totale. Aldilà delle polemiche e delle schermaglie politiche, tuttavia, la rilevanza del tema richiede di capire meglio come si articolino le proposte grilline. Per quel che riguarda il bilancio partecipativo, nulla quaestio: la costruzione del bilancio con una consultazione dal basso, mettendo in grado i cittadini di interagire e dialogare con le scelte delle Amministrazioni per modificarle e orientarle, è un’esperienza consolidata in vari paesi, Italia inclusa, e negli stessi municipi romani non sono mancate in anni passate esperienza di questo tipo. Per quel che riguarda l’introduzione di petizioni popolari elettroniche (le petizioni presentate in forma cartacea sono già previste dall’articolo 8 dello Statuto), difficile intravedere obiezioni, anche se l’utilizzo delle tecnologie informatiche per facilitare la presentazione di petizioni da parte dei cittadini potrà rivelarsi di una qualche utilità solo a fronte della capacità (e volontà) delle forze politiche di valutarle e dar loro eventualmente un seguito. Sembrano invece di maggior interesse le proposte tese ad introdurre il voto elettronico (e-voting) per i referendum locali, che si intendono inoltre caratterizzare per la eliminazione del quorum. Una tale modifica potrebbe consentire a gruppi organizzati di cittadini, ancorché poco numerosi, di tentare di incidere sul quadro legislativo locale senza la tagliola del quorum e, conseguentemente, portare alla valutazione della comunità territoriale un ventaglio potenzialmente amplissimo di proposte. Da questo punto di vista la proposta appare certamente legata all’idea di maggior democrazia nei processi decisionali, facendo sì che – potenzialmente – un ampio numero di questioni venga portata al giudizio dei cittadini. Alcune indispensabili cautele, tuttavia, vanno adoperate. Intanto sul voto elettronico che, sebbene molto utile in alcuni casi (si pensi, ad esempio, alle persone impossibilitate a recarsi ai seggi per invalidità, disabilità o malattia), mal si attaglia al profilo del dovere civico che il voto porta con sé, e che richiede un impegno in prima persona da parte del cittadino, che deve recarsi alle urne per compiere la propria scelta democratica. In questo senso numerose sono le osservazioni formulate dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa. Per quel che concerne il referendum senza quorum, inoltre, se permette il dispiegarsi di una serie di istanze dal basso, presenta allo stesso tempo il rischio – potenziale, ma concreto – di intasare uffici comunali e cittadinanza in una consultazione perenne sulle questioni più varie, le quali possono oggettivamente rivestire un interesse trascurabile per la collettività. Da questo punto di vista è bene ricordare che la democrazia rappresentativa, con tutti i suoi difetti, ha il pregio di consentire di delegare le decisioni attraverso il voto, lasciando ai cittadini lo svolgimento delle loro faccende quotidiane. Questo, naturalmente, presenta lo svantaggio di poter alimentare la costruzione di consistenti sacche di potere e di rendere difficoltoso l’esercizio della “sovranità popolare” fra una scadenza elettorale e l’altra. È il problema delle società complesse, lontane anni luce dalla agorà ateniese, dove gli uomini liberi (e solo loro) si riunivano per prendere assieme le decisioni delle cosa pubblica. La nostra è una società della poliarchia, come ricordava Dahl, e richiede indubbiamente per il singolo un grande sforzo per incidere sulle decisioni che in suo nome vengono prese nelle assemblee rappresentative, con o senza l’ausilio e l’intermediazione di forme partito. Non serve, dunque, dismettere con una semplice scrollata di spalle la proposta grillina che, in ogni caso, risponde ad un’esigenza concreta e su cui è opportuno si apra una discussione seria. Purché si ricordi sempre che in una società in cui il voto si eserciti con un click si realizzerebbe il più totalitario dei regimi, in cui varrebbe tutto ed il contrario di tutto, in un vortice decisionale (meglio, decisionista) che costituirebbe l’esatto opposto della democrazia, che, in ultima analisi, richiede ponderazione e tempi adeguati. Web o non web.
6 Aprile 2017