Il tassista che mi porta dall’aeroporto di Jacksonville, nell’angolo della Florida che si insinua in Georgia, fino a Amelia Island, un resort blindato sull’Oceano, me lo dice: piu’ vedo cartelli vendesi, piu’ divento nervoso. L’ultima volta, mi dice, nel 2006, vedevo lo stesso numero di case sul mercato, sfitte, e mi chiedevo, ‘ma chi presta i soldi per comprare queste case?’’. Condomini, caseggiati, casermoni, magari con vista incredibile sull’Atlantico, ma senza servizi essenziali che non siano a decine di chilometri, mall senza anima e semi vuoti. Il 40 per cento delle persone ha piu’ di 65 anni, mi dice. Come se tutti avessero scommesso sull’eternità, sia i pensionati che ancora arrivano da ovunque nel Sunshine State, sia le banche che sperano che le pensioni stesse siano senza fine, per ripagare mutui elargiti a centenari.
Era la stessa sorgente di lunga vita che sperava di ottenere Juan Ponce de Leon, il primo occidentale ad arrivare nel 1513 a Saint Augustine, poco lontano dalla strada fra piantagioni di pecan e di arance dove siamo noi. Secondo la leggenda, la spedizione di Ponce de Leon era mirata a trovare la fontana della giovinezza, nascosta da qualche parte nelle paludi ostili. Glielo avevano detto alcuni selvaggi di Santo Domingo, a lui che era arrivato con la seconda spedizione di Colombo. Invece, non trovò nessuna fontana, ma animali feroci, insetti e sabbie mobili.
Tutto converge per un’altra bolla, mi fa capire il tassista afroamericano, con un ‘southern growl’ da Truman Capote. Io gli dico che, in finanza, la storia raramente si ripete. Non è come la politica, dove i meccanismi di rivoluzione, esasperazione e restaurazione o di stagnazione del potere sono sempre gli stessi.
Non si ripetono le ragioni che scatenano il panico, o che fanno deprezzare le valutazioni degli investimenti. Sono sempre motivi diversi. Si, gli dico, da qualche parte deve rompersi una molla, devono mutare alcune condizioni, che siano macroeconomiche o di fiducia, ma, soprattutto in questi tempi moderni, superveloci, istantanei, quello che scatena la tempesta. Ci ostiniamo a credere che le serie storiche ci possano dare fiducia, quasi divinatoria, di indovinare quando la prossima crisi arriverà. Proprio come in meteorologia, gli dico. Ho letto da qualche parte che questa zona della Florida non viene quasi mai colpita da uragani e, se arrivano, sono ormai tempeste tropicali. La penisola della Florida, da dove siamo noi, entra nell’Oceano per una distanza di oltre 90 miglia. Una barriera naturale dove atterrano le tempeste più violente e che le fa deviare verso le pianure della Louisiana o della Georgia.
Solo ogni tanto, gli uragani la prendono larga e entrano a terra fra Jacksonville e la Georgia. Una volta questa anomalia, pochi anni fa, creò le condizioni per la tempesta del secolo su New York. Ma, gli dico, esiste un pattern, e voi ve la cavate. Forse, gli dico, questa volta la zona e’ diventata popolare perché più sicura.
Lui, fermi al semaforo rosso di un incrocio dove fioccano negozi che vendono armi, cibo per animali, e vetrine e vetrine di avvocati che offrono ‘bail bonds’, o prestiti per fare uscire le persone di galera, si gira e mi dice: si, ma, se non sei preparato, ‘once is enough’, una volta basta. Mi spiega che le case al sud della Florida sono costruite in visione di eventi meteorologici estremi, sospese come palafitte, con stanze per rifugiarsi, in perenne attesa della tempesta. Resistono. Qui, proprio perché gli eventi violenti sono rari, le case sono edificate in maniera diversa. E assicurarle costa molto di più, dopo l’evento che, proprio alcuni anni fa, devastò la costa attorno a Jacksonville. E, quindi, mi dice, quando vedo che continuano a costruire senza cambiare modo, mi chiedo se non sia tutto materiale sprecato. O, forse, gli dico io, fa parte di come funziona il sistema. Si costruisce, si vende e poi, in caso di disastro, di un altro uragano, le persone dovranno pur ricostruire. Sarà, chiosa, ma qui stanno davvero costruendo troppo. Nella città americana al cinquantesimo posto come abitanti, ma al primo come estensione della municipalità. Piu’ di Los Angeles o di Chicago.
Quando arriviamo all’hotel, in una specie di Punta Ala della Florida, tutta campi da golf, casette linde e hotel a cinque stelle, mi dice: locations are locations, but it’s the man wrong. The man sitting on top. Un luogo è un luogo, ma è l’uomo a sbagliare. L’uomo che siede in cima. Ride e riparte. Io sono li’, con le valigie, le piscine dell’hotel che mandano riflessi blu e in fondo l’oceano Atlantico. Mi immagino le galee di Colombo, un senso di essere arrivati chissà dove, mentre erano semplicemente i primi a sperare in vite eterne e flussi di cassa senza fine. Oro, acque miracolose, nuovi mercati e magari un passaggio per il vero Giappone. Si erano sbagliati, ma il luogo no, il luogo era immune da errori. E, forse, aveva ragione il tassista. Nonostante la mia perentoria affermazione che la storia delle crisi non si ripete mai come prima, ci sono sempre i segni, di inconsapevole irrazionalità, di fiducia in moltiplicatori del reddito, di tendenze che esulano dalle valutazioni di operatori consortili e mercenari. Qualcosa scatta, poco prima di una crisi finanziaria ed è sempre la stessa cosa: accade quando i pattern variano, all’improvviso e quando quello che era sicuro diventa, improvvisamente, incerto. Ma e’ sempre l’uomo, mai il posto.
La mattina dopo, corro sulla spiaggia, all’alba. Appena il sole sorge, per una paura irrazionale di mostri marini, in caso Elio non si fosse deciso a sorgere, velocemente e senza attesa, sull’Oceano. Corro, sbuffo, con decisione. Ad un tratto, mi fermo, vedo una figura che smonta una tenda rossa, a pochi metri da uno di questi seggioloni da guardie marine, da bagnini. Dietro le dune, condomini in fila, intervallati da poche case piu’ basse con giardini e bandiere americane ovunque. Il ragazzo sembra in procinto di smontare tutto, dopo aver dormito in faccia all’Oceano nero. Forse un viandante. Un Hobo, come dicono qui, ebrei o monaci erranti della società americana. Da qualche parte mi immagino un taccuino, delle storie di attraversamenti di città, deserti, incontri. Hobo and Condos, i due lati estremi del sogno americano. La affidabilità’ del territorio e quella del credito., Perche’ questa terra, forse, ha davvero posto per tutti, nonostante tutto. O, forse, e’ un esperimento fallito, un tentativo di regalare al capitalismo una sua forma di eterna giovinezza. Fallendolo. E da quella linea di frattura fra il sogno e la realta’ continua a nascere la cultura americana. Somehow.
Soundtrack
War on drugs – Thinking of a place – https://www.youtube.com/watch?v=MrNUiF6t_KI