Non concordo con Alessio quando sulle pagine di Linkiesta sostiene che il divieto di apologia del fascismo sia un atto di per sé fascista e, più in generale, che la democrazia non possa mai limitare se stessa in nome della democrazia.
Lasciamo stare il disegno di legge Fiano, che vorrebbe punire la propaganda delle immagini e dei contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, anche se realizzata solo con la vendita di cimeli. Concordo anch’io sul fatto che si tratti di una proposta insensata, non necessaria ed in forte odore di incostituzionalità.
Ma il reato di apologia di fascismo che esiste oggi me lo terrei stretto. E lo farei proprio perché non condivido che la democrazia non possa ammettere limiti in suo nome.
Una democrazia che non ammetta limiti non è una democrazia. Così come una libertà priva di limiti non è libertà, ma prevaricazione. Invero, ogni teoria della libertà degna di questo nome è anzitutto una teoria del limite.
Ritenere, invece, che la libertà, per dirsi effettiva, debba ammettere anche la sua totale dissoluzione è il frutto di un malinteso. Si tratta di quello che si suole definire paradosso della libertà, che Karl Popper declinò in paradosso della tolleranza.
“Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”, scriveva il filosofo austriaco in “La Società aperta ed i suoi nemici”.
E concludeva precisando (questa parte è meno citata della precedente) che “Dovremmo proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti. Dovremmo insomma proclamare che ogni movimento che predica l’intolleranza si pone fuori legge e dovremmo considerare come crimini l’incitamento all’intolleranza e alla persecuzione, allo stesso modo che consideriamo un crimine l’incitamento all’assassinio, al ratto o al ripristino del commercio degli schiavi”.
Prima di lui John Stuart Mill ci spiegava che “Tutto ciò che rende l’esistenza di chiunque degna di essere vissuta dipende dall’impostazione di restrizioni sulle azioni altrui. Di conseguenza devono essere imposte alcune regole di condotta: dalla legge in primo luogo, e dall’opinione nei molti campi che non si prestano a legislazione.” Ed ancora: “L’idea secondo cui non vi è necessità che il popolo limiti il proprio potere su se stesso poteva sembrare assiomatica in tempi in cui il governo popolare era solo un obiettivo fantasticato o lo si conosceva attraverso le letture, come fenomeno di un lontano passato”. Poi, però, si comprese come “la società stessa” possa essere un tiranno, “la società nel suo complesso, sui singoli individui che la compongono”.
La vera libertà è dunque cultura del limite. Al potere altrui ed al proprio.
Orbene, dato un certo sistema (che chiamiamo democratico), che risulta oggi il miglior sistema possibile per consentire a tutti di vivere liberi e di poter manifestare il proprio pensiero, come può quello stesso sistema ammettere attentati alla sua integrità? Come può un sistema rifiutare il principio di autoconservazione?
Per questo reprimere l’apologia di fascismo, ossia l’esaltazione di esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo e delle sue finalità antidemocratiche (art. 4 Legge 20 giugno 1952, n. 645), non costituisce una violazione della libertà di manifestazione del pensiero, ma, al contrario, la compiuta celebrazione di quella libertà. La tutela della premessa prima su cui si basa un moderno sistema democratico. E tale premessa va protetta anche e soprattutto contro se stessa ed i suoi abusi.
Per il resto sappiate che la giurisprudenza ha sinora applicato la norma con grande senso di equilibrio, ritenendo non punibile l’apologia in sé e per sé, ma solo quando possieda una certa idoneità lesiva per la tenuta dell’ordinamento democratico e dei valori allo stesso sottesi.
“Non è la manifestazione esteriore in quanto tale ad essere oggetto di incriminazione, bensì il suo venire in essere in condizioni tali da rappresentare un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione del partito fascista o di un movimento che ad esso si ispiri”. Al tempo stesso, “Va escluso che la libertà di manifestazione del pensiero possa andare esente da limitazioni lì dove la condotta tenuta risulti violatrice di altri interessi costituzionalmente protetti e tra questi rientrano le esigenze di tutela dell’ordine democratico cui è preposta la 12 disposizione transitoria in tema di divieto di ricostituzione del partito fascista” (Cassazione penale 12/9/2014, n. 37577).
Si obietterà che la soglia di tutela in reati come quelli di apologia è eccessivamente anticipata (si parla a questo proposito di reati di pericolo). Certo. Ma stiamo parlando del perimetro che consente a noi tutti di dibattere liberamente ogni giorno sui social media. Del perimetro che ci consente di organizzare una manifestazione di protesta. Di criticare il Governo e mandare lettere ai giornali. Stiamo parlando della premessa di tutto. Per cui anticipare la soglia di tutela e difendere il perimetro ha la sua ragion d’essere.
In questo quadro l’obiezione secondo cui, allora, dovrebbero essere vietati tutti i regimi in generale (a patire da quello comunista) è frutto solo di sterile, magari inconscia, stucchevolezza morale.
L’Italia ha infatti avuto un regime fascista e non comunista. La nostra storia patria ha fatto i conti con quel regime. La nostra democrazia ha generato quel regime. Per questo la Costituzione ha bandito quel preciso regime e con il suo spettro ed i suoi germi fa i conti ogni giorno.
Dal 1993, comunque, la legge Mancino ha bandito più in generale ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Per cui, almeno dal 1993, ogni ideologia di regime è potenzialmente bandita.
Insomma, reati come l’apologia di fascismo sono argini e se ti vuoi proteggere dalle alluvioni e dalle curve improvvise della storia gli argini sono importanti.
Che senso ha, del resto, cercare il dibattito rispetto ad idee che per definizione presuppongono l’annientamento di ogni voce contraria? Rispetto ad idee che propugnano la violenza come forma di lotta politica?
Dibatteremo di tutto il resto. Della nostra fine no, grazie.