PromemoriaNel diritto forma e sostanza sono indivisibili

Con la sentenza di primo grado sul processo ribattezzato mazzetta capitale (come ormai corretto dai quotidiani) scompare agli atti la res sulla quale si è costruita tutta l’inchiesta, e cioè non vi...

Con la sentenza di primo grado sul processo ribattezzato mazzetta capitale (come ormai corretto dai quotidiani) scompare agli atti la res sulla quale si è costruita tutta l’inchiesta, e cioè non vi è natura mafiosa dei fatti penali fin qui accertati. È una decisione che non lascia margine di equivoco quella della decima sezione penale del Tribunale di Roma nei confronti dei 46 imputati del processo. Il presidente Ianniello impiega mezzora per leggere il dispositivo, ma il cuore del processo è tutto nei primi cinque minuti: l’accusa di 416 bis per 19 imputati viene derubricata in 416, vale a dire associazione semplice. E se la Corte non riconosce il reato di associazione mafiosa, nega anche la sola aggravante del metodo mafioso

Quel che fa riflettere non è solo l’enorme scarto giuridico tra il teorema iniziale dell’accusa e l’esito a cui sono giunti i giudici, ma torna (se non ci fosse ulteriore bisogno) una questione cruciale ma che l’opinione pubblica purtroppo fa ancora fatica a prendere in considerazione. Ed è un tema che ha impatto concreto sul rapporto tra i cittadini e l’idea corretta di giustizia e si basa su una coerenza che si deve pretendere sul piano etico-giuridico. In soldoni, come è possibile – in base alla Costituzione al suo art.111 – stabilire sulla carta il principio del giudizio a posteriori (cioè dopo la celebrazione di un regolare processo tra le parti) ma indurre di fatto l’opinione pubblica ad emettere una sentenza a priori in cui le tesi dell’accusa sono già verità rivelate? Inacettabile, insomma.

Alla domanda (tormento ricorrente in queste ore per una parte dell’informazione) del “cosa sarebbe accaduto se non si fosse parlato del termine mafia” la risposta è del tutto ovvia: la risonanza sarebbe durata non oltre 2 giorni. Ma il termine mafia ha travalicato tutto e tutti, senza pensare ai fatti. In questo senso si persevera nell’assurda e arbitraria volontà di saltare consapevolmente i passi logici che a tutt’oggi strutturano il diritto e regolano il rispetto reciproco degli atti fra le parti (di accusa e difesa) e – cosa non secondaria – non si tiene conto della presidenza di un tertium cioè il collegio giudicante, e non ultimo che esistono tre gradi per i quali appellarsi successivamente.

Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita`, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.


Costituzione della Repubblica Italiana – art.111 (1)

Siamo all’ABC del rispetto delle regole ma nulla di tutto ciò da molti anni a questa parte, e nel frattempo giacciono macerie umane e sociali tutt’intorno: o assistiamo alle palate di fango per imputati poi assolti oppure – nel caso di Roma – la marchiatura a fuoco del brand di una mafia che non c’è e non doveva esserci prima. In altre parole, aver teorizzato sulla capitale stritolata dalla piovra non avendo in mano gli elementi di legge per dimostrarlo, si è rivelato uno sbaglio.

Che poi – molti oggi commentano -si tratta di un errore di forma e non di sostanza (la corruzione è infatti un fenomeno dentro la galassia criminale tipica delle mafie); ma ecco il punto: non si deve ignorare e dimenticare che nel diritto è la forma che manifesta la sostanza e pertanto mancante la prima la seconda – direbbero i filosofi – semplicemente non esiste e non si dà. Nel caso di Mazzetta Capitale non vi sono quindi gli elementi mafiosi per i reati commessi dagli imputati.

Ciononostante, pensate che i tanti Savonarola del nostro paese non sappiano tutto ciò? Eppure con l’espediente paraculo del “dicono i pm” e con una spruzzata di condizionali realizzano quello straordinario movimento centrifugo che si allontana dal dibattito nell’aula del tribunale per scaraventare tesi e conclusioni nel circuito mediatico. Si assista in qualche modo ad una sorta di gravidanza extrauterina del processo (sui giornali e sui social) mentre poi quello vero (sempre il processo) si celebra con i suoi tempi, i suoi riti, secondo la sua naturale gestazione cioè dentro le sue aule, nel contradditorio paritario e sopratutto con gli atti.

Esagerazioni? Non credo. Nel caso della nostra capitale i danni sono doppi e sovrapposti: Roma non è stata solo oltraggiata da una consorteria criminale dedita alla ricchezza illecita, non solamente è stata usata e abusata senza ritegno da gente senza scrupoli; ma anche si è vista disegnata e immaginata – come oggi polemizza il Foglio – come nuova Corleone. Affermazione suggestiva se no fosse che era totalmente priva di senso.

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