Ci sono voluti quasi due anni e mezzo, ma, alla fine, le nuove misure sulla concorrenza sono diventate legge. Un lavoro partito con il governo Renzi e concluso con il governo Gentiloni. Una serie di interventi in diversi settori dell’economia italiana – dai servizi di pubblica utlità ai servizi professionali – che favoriscono i cittadini, sia nelle vesti di imprenditori che nelle vesti di consumatori.
Come al solito, qualcuno dirà: si poteva fare di più. Si, è vero. Ma si poteva anche non far nulla. Nel nostro paese, il corporativismo e la difesa delle rendite resistono allegramente e godono di ottima salute. Non a caso l’iter del provvedimento è stato lungo e pieno di ostacoli.
Apertura contro chiusura
Se pensiamo, però, di dare una svolta all’Italia, promuovendo il cambiamento e lo sviluppo, serve rimettere al centro il cittadino come imprenditore e come consumatore, favorendo la libertà di iniziativa, da una parte, e la libertà di scelta, dall’altra. Le economie moderne funzionano così. In Italia, il cammino è appena iniziato. La tensione verso il successo e il cambiamento è ancora ostacolata dalla paura del futuro e dall’ostilità verso la competizione. Il ruolo dell’imprenditore è ancora guardato con diffidenza. La concorrenza è percepita ancora come un pericolo. La protezione pubblica e la rendita corporativa sono ancora ritenuti gli assi portanti del benessere sociale.
Fin qui i ritardi dell’Italia. E’ vero, certo, che nello scenario occidentale, siamo in buona compagnia. In molti paesi, il corporativismo rialza la testa nella sua manifestazione populista. Basti pensare agli americani che scelgono Donald Trump o agli inglesi che votano per chiudersi nei loro confini.
I pilastri del corporativismo
In Italia, il corporativismo si fonda almeno su tre pilastri.
In primo luogo, un’amministrazione pubblica inefficiente, ma pervasiva. Per tradizione impostata sulla difesa del potere pubblico piuttosto che sul servizio al cittadino. Usata come ammortizzatore sociale, attraverso il lavoro statale. Leva di uno stato imprenditore e gestore, pervasiva al punto di drogare e deprimere lo sviluppo corretto dell’economia, moltiplicando gli ostacoli all’innovazione.
Il secondo pilastro è lo scambio perverso tra mano pubblica e imprenditoria assistita. Da una parte, garanzia di sussidi pubblici e welfare generalista, dall’altra, un mercato asfittico con pochi investimenti, scarsa propensione al rischio e all’innovazione, bassa produttività di tutti i fattori.
Infine, la progressiva deriva di un metodo consociativo tra produttori e sindacati che – salvo rare occasioni positive – ha contribuito ad ingessare l’economia, ostacolando i meccanismi della concorrenza e mortificando il merito e la produttività. Questo schema – unito ad un sistema previdenziale scriteriato che ha fatto esplodere i nostri conti pubblici – ha garantito reddito e benessere a tanti, ma ha anche costruito dei blocchi sociali insuperabili che oggi impediscono la crescita. Inoltre, la tutela dei diritti dei consumatori è una novità recentissima per la quale dovremo sempre e soltanto ringraziare il mercato e le norme comunitarie, non certo le nostre amministrazioni.
A che serve la concorrenza
Si spiega così il perché la concorrenza sia un bene indispensabile.
La concorrenza è un motore dello sviluppo, non soltanto economico, ma anche umano. Aiuta la diffusione della conoscenza e crea le condizioni per l’innovazione. In assenza di monopoli, il sapere necessario per migliorare si diffonde e diventa accessibile a tutti. Non ci sono soggetti privilegiati che, a partire dalle loro rendite di posizione, restano saldi sul piedistallo a scapito della generalità degli attori del mercato.
La concorrenza stimola le persone e le imprese ad offrire prodotti e servizi di qualità sempre migliore e ad un prezzo competitivo. Grazie alla concorrenza è più facile raccogliere ed elaborare le informazioni necessarie per i nostri obiettivi e possiamo compiere quegli esperimenti che servono a migliorare e a innovare. Inoltre, la concorrenza aumenta le opportunità di scelta per i consumatori e può avere un impatto sulla ridefinizione delle tariffe a vantaggio degli utenti. In questo modo si verifica anche una espansione dei diritti dei cittadini. Questi processi virtuosi si riverberano nella società come vantaggi per tutti. La libertà di ricerca e le frontiere aperte necessarie per la concorrenza diventano così strumenti per sconfiggere il protezionismo e le corporazioni che impediscono il progresso umano e tecnico.
Verso una società aperta
Il discorso potrebbe proseguire a lungo. Basti pensare al tema delle partecipate pubbliche nel campo dei servizi di pubblica utilità. Proprio in questi giorni è di grande attualità il referendum dei radicali sulla liberalizzazione del trasporto pubblico locale di Roma. Ma ne abbiamo già scritto su questo blog. Per adesso godiamoci questo risultato – l’approvazione della legge sulla concorrenza – in attesa delle prossime numerose sfide che verranno per raggiungere l’obiettivo di una società aperta, capace di garantire il giusto mix tra libertà e protezione.