Si dice, giustamente, che quando un club di calcio spende un mucchio di soldi per un calciatore forte e famoso, lo fa anche per guadagnare dal ritorno di immagine del giocatore stesso. Vero, verissimo: come abbiamo scritto proprio qui, un calciatore è un asset, produce cioè reddito ed è monetizzabile dall’azienda che lo acquista. E uno degli aspetti economici di maggiore rilevanza, in questi casi, è quello dello sfruttamento dell’immagine legato alle magliette con nome e numero del calciatore in questione. Di solito, quando un calciatore – diciamo Neymar – arriva in un grande club – diciamo il Psg – volano numeri pazzeschi sull’affare: 100, 200 milioni di clausola, 20 anzi 30 anzi 40 milioni di ingaggio, ville, auto e altri fantascientifici benefits. Tutti soldi spesi per guadagnare: è un investimento. E poiché i giornali sono sempre alla ricerca del sensazionalismo, un immediato ritorno dall’investimento si realizza al primo giorno di vendita delle nuove maglie, con humeri che nemmeno il Pil del Bangladesh.
Ecco, no. Quando un club mette in vendita la maglia sa già che di soldi freschi in arrivo da quelle vendite ne vedrà ben pochi. Dunque non è affatto vero, come è stato scritto forse per eccesso di entusiasmo, che dopo un giorno sono stati ricavati 10 milioni di euro dalla vendita delle maglie, se si intende che questi soldi ovviamente siano stati intascati dal Psg.
Non funziona così per due motivi. Il primo è legato al prezzo di una maglia. Analizzandolo, si nota che un club può intascare una cifra importante dalla vendita solo se le vende nei propri store ufficiali, ma tale cifra rischia di non corrispondere nemmeno alla metà del prezzo di vendita. Solitamente, su una maglia di 80 euro – che corrisponde al prezzo medio di vendita – fino al 50% finisce nelle tasche dello sponsor tecnico, che ha dei costi di produzione e deve così cominciare a recuperare anche il costo sostenuto per la sponsorship tecnica con il club (ne parleremo più avanti): dunque già 40 euro volano via. E poi c’è l’Iva, che viene applicata sul prezzo stesso e che varia ovviamente da Paese a Paese: nel caso specifico, in Francia, è del 20%. Senza contare le royalties, che però variano da accordo ad accordo: a volte può accadere, come nel caso di Ibra allo United, che tale importo, compreso tra il 15 e il 20%, scatti solo dopo una certa soglia di maglie vendute.
Il resto se lo mette in tasca il club e qui arriviamo al secondo punto della questione, cioè l’accordo tra la squadra e l’azienda produttrice. Solitamente, le multinazionali sportive pagano cifre importanti per lunghi archi di tempo, per assicurarsi il diritto a riprodurre le magliette di una società: per dire, per tornare al caso United di cui sopra, Adidas versa 90 milioni all’anno al Manchester United con un contratto di 10 anni che prevede che il ritorno di vendita dalle maglie vada in tasca ad Adidas, con le royalties che vengono attivate solo dopo un limite di vendite. Ecco perchè, ad esempio, alcuni club come la Juventus nello stipulare nuovi contratti hanno deciso di gestire il merchandising in maniera autonoma: a fronte di un fisso di 6 milioni annui elargito da Adidas ogni anno sulla vendita, il club bianconero ha deciso di tenere per sé la vendita diretta, confidando di poter incassare di più di quel fisso. Ora, se consideriamo che il Psg ha cominciato la vendita solo nel proprio store ufficiale nel centro della città, è più probabile che sia vero quanto affermato dal sito brasiliano GloboEsporte, che nei giorni scorsi ha parlato di 1 milione di euro nelle casse dello store.