Lost in BusinessSe su LinkedIn sei un cane…mi spiace ma lo sapranno tutti!

Nel 1993 su Internet potevi dire e fare quasi tutto ciò che ti passava per la testa. Potevi benissimo anche essere un cane e nessuno se ne sarebbe accorto. La notizia? Non siamo più nel 1993. Will...

Nel 1993 su Internet potevi dire e fare quasi tutto ciò che ti passava per la testa. Potevi benissimo anche essere un cane e nessuno se ne sarebbe accorto. La notizia? Non siamo più nel 1993.

William James, padre della psicologia americana, una volta ha suggerito che le persone hanno tante personalità quante il numero di situazioni in cui si trovano. Siamo animali eclettici come camaleonti, sappiamo andare in letargo come gli orsi bruni e, all’occorrenza, fingersi morti come l’opossum.
Rimane il dubbio se e quale personalità sia giusto fare emergere on line e sui social.

Signori, non siamo più nel 1993!

In quell’anno, Peter Steiner, un disegnatore e collaboratore del New Yorker, disegnò una delle vignette più celebri ed iconiche del mondo digitale. “On the internet, nobody knows you’re dog.”

Anche se per anni venne snobbata, con il passare del tempo, la vignetta diventò il terreno sul quale giocare la più grande battaglia. Chiedersi insomma se on line ed off line sono o non sono la stessa cosa?

Per lungo tempo la risposta è stata accompagnata dal sorriso beffardo di Peter. On line puoi parlare per ore, mesi, anni, senza che nessuno ti conosca davvero. Oggi sappiamo che basta un singolo scatto (geo localizzato magari) per dire al mondo più di quanto sappia il tuo vecchio amico del liceo.

Oggi la domanda è diversa. Non si tratta più di chiedersi se on line ed off line siano la stessa cosa, abbiano la stessa potenza ed impatto, ma chiedersi cosa bisogna fare.
Tornando alla teoria di Mr. James, chiedersi che tipo di personalità fare emergere.

E su LinkedIn? Ancora più complicato

Il discorso si complica su un social come LinkedIn, un social “professionale”, dove apparentemente tutti sono impegnati a fare cose buone: trovare un lavoro, trovare un lavoratore, trovare clienti. Ci si aspetterebbe di trovare tanti professionisti impeccabili, rispettosi come ambasciatori diplomatici in terra straniera, ma invece il social pullula di gattini, cosce lunghe e battutacce d’addio al celibato.

E questo non è certo il peggiore dei mali, basta un tasto (unfollow) per non seguire certe persone. Il punto però è se queste persone lo sappiano. Se sappiano che non siamo più nel 1993, che oggi insomma a comportarsi da cane se ne accorgono tutti.

Questione di educazione digitale e di galateo

Forse lo ha pensato anche Valentina Marini, cofounder insieme a Giada Susca, di #galateolinkedin. Un movimento, quasi spontaneo, gratuito, senza scopi di lucro, che da qualche mese ha iniziato a farsi domande su quale debba essere il comportamento da tenersi sui social.

Ci ho parlato l’atro giorno ed in qualche modo me lo ha confermato. Ci siamo ritrovati a parlare per oltre un’ora di cose banali. Ed è proprio questo il punto: ci sono cose banali, come il buon senso e l’educazione, che sui social non sono affatto scontate.
Ad esempio mi ha raccontato di un divertente aneddoto con il quale è solita aprire gli eventi di #galateolinkedin.

Cammina nella sala verso un individuo scelto a caso, gli si para davanti, lo guarda e gli stringe la mano. E non dice niente, sta proprio zitta zitta.
Adesso è facile pensare che il povero “interlocutore” rimanga spiazzato. Immagino passi una trentina di secondi imbarazzati chiedendosi se la sua “nuova conoscenza” è affetta da mutismo o se è proprio stupida. Cosa penserà davvero?
Chi lo sa ma è esattamente ciò che succede ogni giorno, migliaia di volte in un secondo su LinkedIn. Visitare un profilo, richiedere una connessione e non dire niente. Niente, niente.

Ecco la situazione è simile, il pensiero del tuo interlocutore anche, c’è persino qualche aggravante.
Non solo la figura che si fa è poco elegante, non solo se non parli non potrà mai capitare qualcosa di buono (e su LinkedIn si spera succeda) ma il segnale che si dà è quello del collezionatore di contatti compulsivo con tracce di ignoranza digitale.

E’ banale, lo so, come tantissime altre cose che ogni giorno vanno in scena sui social e, spero, non faremmo mai nella vita di ogni giorno, al bar, a lavoro, in un parco.
Il corteggiamento ha le sue regole, nessuno sano di mente si azzarderebbe ad avvicinarsi ad una donna e chiedere se le va di fare sesso. O entrare in un ristorante affollato ed urlare chiedendo se qualcuno abbia bisogno di un xzygf professionale.
Cose banali ma che sui social, persino su LinkedIn, non sono affatto scontate.

Ancora una domanda: perché farsi tante domande?

#galateolinkedin ha riscosso sino ad oggi una partecipazione massiccia e convinta ma ha sollevato anche qualche critica; dopotutto a nessuno piace il tizio che dice questo si fa o non si fa. Non mi vergogno a dirlo, non piace neanche a me, e per lungo tempo anche io ho guardato con sospetto l’iniziativa.
In realtà però anche non farsi domande, non darsi regole è pericoloso.

Insomma si tratta di scegliere se continuare a non far nulla e lamentarsi o crearsi un posto, un social, migliore. Come dice Valentina si tratta di rispondere a Tim Berners Lee, e farlo con i fatti.

“Avrò anche creato il web, ma tutti voi avete contribuito a renderlo ciò che è oggi. Tutti i blog, i post, i tweet, le foto, i video, le applicazioni, le pagine web rappresentano il contributo di milioni di voi in tutto il mondo per costruire la nostra comunità online. Tutto questo ci ha condotto al web che abbiamo, e ora è nostro compito costruire il web che vogliamo.”

La risposta, il modo in cui rispondi o non rispondi, ti qualifica. E dirà a tutti se sei un cane o se non lo sei.

Nota: Per avere maggiori informazioni su #galateolinkedin e sugli eventi in programma basta collegarsi sul sito istituzionale. L’iniziativa è portata avanti senza scopo di lucro.

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