In questo articolo andrò ad analizzare, in un’ottica di focalizzazione e posizionamento di marca, la dinamica che ha portato l’olandese TomTom dapprima sull’orlo del fallimento, poi ad una resurrezione apparente e infine ad una nuova crisi dovuta al suo ingresso nel mercato degli orologi sportivi con tecnologia GPS.
Spero che la comprensione del concetto di posizionamento di marca possa aiutare molti piccoli e micro-imprenditori italiani ad evitare di commettere gli stessi errori strategici nella gestione della propria azienda, che potrebbe non riuscire a rialzarsi con la stessa facilità del colosso olandese.
Divenuta famosa in tutto il mondo grazie ai suoi navigatori satellitari, TomTom ha conosciuto un florido periodo di crescita nei primi anni del nuovo millennio, quando le sue azioni sono salite dai 17,20 € dell’offerta pubblica iniziale del 2005 a 64.80 € nel novembre 2007.
Forte di questo successo l’azienda ha fatto un grosso investimento per acquisire la tecnologia di Tele Atlas, uno dei maggiori produttori di mappe digitali al mondo. “TomTom compra Tele Atlas per due miliardi. Boom trimestrale di utili e fatturato.” Così titolava un articolo del Sole 24 Ore del 2007, andando poi a spiegare come questa acquisizione sarebbe servita a consolidare la posizione di TomTom come azienda leader nella navigazione satellitare.
Sarebbe stato tutto vero, se solo non fosse successo un disastro. La crisi finanziaria globale del 2008 è arrivata esattamente un anno dopo che l’azienda si era indebitata fino al collo per fare quell’importante acquisizione e, come se ciò non bastasse, Google è entrata nel mercato della navigazione satellitare con un servizio perfettamente funzionante e totalmente gratuito. L’ingresso di un motore di ricerca nel mercato della navigazione satellitare non è una di quelle sfide per le quali l’azienda si fosse preparata. E infatti TomTom non era pronta. Le vendite dei navigatori satellitari tramite rivenditori hanno subito un brusco arresto, mentre gli smartphones iniziavano a diventare sempre più popolari. Le azioni sono crollate a 2,84€, il valore più basso di sempre.
Questa esperienza è stata decisamente traumatica per l’azienda, che ha reagito con una manovra di emergenza: spostare le sue competenze nell’ambito della tecnologia GPS in un mercato diverso e ancora profittevole. Un’intuizione corretta, purtroppo implementata in modo totalmente errato. Ma prima di analizzare gli errori, voglio parlarti degli aspetti positivi di questa manovra, perché qualcosa di buono hanno fatto.
Da una partnership con Nike, è nata una nuova linea di prodotti: quella degli orologi sportivi con tecnologia GPS, detti anche “wereables”. Diversamente da quanto accadeva in precedenza con i navigatori satellitari, che non venivano venduti direttamente al cliente finale ma solo tramite distributori, la società cambia strategia e si apre alla vendita diretta. TomTom crea quindi la sua piattaforma e-commerce, inizia a raccogliere dati e a fare offerte mirate direttamente ai clienti finali.
Insomma, l’azienda si è messa – seppur con qualche mancanza – a seguire alcune di base del marketing a risposta diretta. Le stesse che io da anni sto divulgando in Italia. Cambiare modello di vendita è stata una mossa assolutamente corretta che ha permesso alla società di ricominciare a vendere e tirare la testa fuori dall’acqua; non a caso le vendite online di TomTom sono arrivate a rappresentare circa il 40% del fatturato totale.
A questo punto della storia, molti giornalisti di testate internazionali, come Forbes, hanno iniziato a produrre articoli dai toni entusiastici, acclamando la scelta di TomTom, ma hanno parlato troppo presto. Quello che un giornalista non è in grado di vedere, ma un vero esperto di business sì, è il fondamentale errore alla base della decisione del colosso della navigazione. Errore che annulla di fatto tutti i benefici derivanti dall’introduzione di sistemi di marketing e vendita a risposta diretta in azienda. TomTom è caduta nella trappola dell’estensione di linea.
La società è entrata in un nuovo settore di mercato mantenendo lo stesso brand name, sperando di riuscire ad imporsi grazie all’eredità dei propri antichi fasti su concorrenti con brand molto più focalizzati come FitBit. Ma il mondo del business segue regole precise, ed è impossibile imporsi su concorrenti focalizzati con un brand famoso in un’altra categoria di prodotto.
Non importa quanti soldi puoi spendere in marketing, l’estensione di linea in un mercato popolato da concorrenti focalizzati è una condanna al fallimento. Fine della storia. Virgin ha sfidato Coca Cola creando la Virgin Cola, ed ha fallito. Coca Cola a sua volta ha sfidato Red Bull creando Burn, il suo energy drink, ed ha fallito – giusto per farti due esempi famosi di società iper capitalizzate che, nonostante avessero capacità d’investimento pressoché illimitata, non sono riuscite a sovvertire le immutabili leggi del posizionamento di marca.
Questo è un concetto fondamentale che gli imprenditori italiani devono assolutamente capire. Perché aziende quotate in borsa come TomTom, Coca Cola o Virgin, possono concedersi degli errori, licenziare il CEO e andare avanti. Un piccolo imprenditore italiano che investe tutti i suoi utili per allargare il catalogo prodotti ed aggredire un nuovo mercato facendo estensione di linea rischia di mandare l’azienda al collasso.
Il modo corretto di fare le cose passa dal capire che l’azienda non è il brand. La Virgin, ad esempio, usa lo stesso brand name per qualsiasi cosa faccia: palestre, aerei, superstores. Questo è il modo sbagliato di fare business. Il modo corretto di fare business sta nel seguire la strategia di aziende come Procter&Gamble e Unilever, dove per ogni categoria di prodotto esiste un brand diverso e focalizzato.
Questo tipo di impostazione rispetta le leggi del brand così come insegnate da Al Ries, la leggenda del marketing che ha ideato il concetto stesso di Brand Positioning. Vedi, TomTom nella mente delle persone significa una cosa sola: “Navigatori satellitari”. È impossibile, una volta che un’azienda ha un brand consolidato negli anni con un significato così forte, cambiare la mente dei clienti su larga scala. La singola decisione di mantenere lo stesso brand name ha annientato ogni possibilità di successo dell’azienda nel mercato degli wereables.
Quello che avrebbe dovuto fare sarebbe stato analizzare la concorrenza, trovare un punto debole nell’offerta del leader, e creare un brand focalizzato, con un nuovo nome, per aggredire il mercato attaccando di spigolo il leader sul suo punto debole, sfruttando le sue conoscenze superiori nel campo della tracciabilità GPS.Così non è stato, e TomTom si appresta a pagarne le conseguenze.
In una recente intervista pubblicata su Forbes, Harold Goddijn, CEO della società, ammette che il mercato degli orologi sportivi non ha soddisfatto le aspettative e che l’azienda sta riconsiderando il suo impegno nel settore del fitness a favore di una nuova rifocalizzazione sul mercato automobilistico e telematico.
“La nostra strategia sarà quella di potenziare la nostra tecnologia di navigazione per fornire mappe, software e servizi a clienti business, con margini alti e entrate ricorrenti,” ha dichiarato Goddijn. “Il fatturato dei tre settori combinati – automobilistico, telematico e di servizi dati in licenza – è cresciuto del 18% nell’ultimo anno, al di sopra delle aspettative.”
Fortunatamente, la società sembra essersi accorta in tempo dell’errore e sta correndo ai ripari, cercando di rifocalizzarsi nuovamente sulla categoria in cui si era affermata, passando dalla vendita di navigatori alla concessione in licenza delle tecnologie di navigazione. Questo è un approccio che potrebbe funzionare per continuare a sfruttare il brand name dell’azienda, che potrebbe però aprirsi a nuovi mercati creando brand nuovi e diversi.
La morale, per un imprenditore italiano, è che mettere il tuo nome su qualsiasi prodotto o servizio che aggiungi al tuo catalogo non farà altro che diluire il significato del nome della tua azienda nella mente dei clienti, finché arriverà a non significare assolutamente niente. Quello che devi fare è creare dei brand specifici e focalizzati per ogni categoria di prodotto o servizio che vuoi vendere. In caso contrario quello che stai facendo, magari inconsapevolmente, è mettere una vera e propria bomba ad orologeria in azienda: basterà infatti l’arrivo inaspettato di un nuovo concorrente (come lo è stato Google per TomTom) per far partire il timer che ti porterà via la maggior parte dei clienti.
Il mio invito è quindi quello di studiare le leggi del Brand Positioning, o posizionamento di marca, per evitare di commettere gravi errori come questi. La cosa che trovo veramente meravigliosa, sia commercialmente che dal punto di vista intellettuale, è che essere a conoscenza delle leggi del branding permette di avere un modello di pensiero pressoché infallibile per analizzare quello che succede sul mercato. La storia di TomTom dimostra che anche decisioni strategiche giuste – come snellire la struttura aziendale e iniziare a vendere direttamente ai clienti finali – possono rivelarsi inefficaci se si scontrano con quelle del branding, che sono di ordine gerarchicamente superiore. L’apprendimento di questi concetti da parte della nuova classe imprenditoriale potrà, in qualche anno, risanare completamente il tessuto della PMI italiana. Io di questo ne sono certo ed è il motivo per cui continuo a divulgarli.