#TsurezuregusaYuji Genda: NEETs, quando il problema è la solitudine

Lo ha ricordato Enzo Moavero Milanesi sulle colonne del Corriere della Sera in questi giorni: sebbene gli spunti per riflessioni comparative utili siano numerosi, in Italia, di Giappone parliamo se...

Lo ha ricordato Enzo Moavero Milanesi sulle colonne del Corriere della Sera in questi giorni: sebbene gli spunti per riflessioni comparative utili siano numerosi, in Italia, di Giappone parliamo sempre troppo poco. Oltre alla tecnologia, alla scienza, all’economia, il Giappone è un paese di grande ispirazione anche per i fenomeni sociali, che nel Sol Levante nascono o arrivano sempre con molto anticipo. Ne è un esempio il fenomeno dei NEETs, che il Giappone ha iniziato a studiare agli inizi degli anni 2000 e che oggi in Italia è una vera e propria piaga sociale. Secondo l’indagine 2017 sull’occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Esde), In Italia i NEETs hanno raggiunto il picco il record Ue del 19,9% a fronte di una media europea del 11,5%. Vediamo, dunque, di capire meglio chi sono i NEETs, cosa ha fatto il Giappone per cercare di migliorare il problema e quali altri problemi potrebbero derivare da questa situazione. Ne ho parlato con il Prof. Yuji Genda, sociologo della prestigiosa Università di Tokyo, uno dei massimi esperti giapponesi di disagi giovanili.

Prof. Genda, chi sono i NEETs?
I NEETs sono quei giovani che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro. (NEETs è l’acronimo inglese della definizione: not in education, not in employiment or trainining. ndr). Si tratta di un gruppo eterogeneo di persone giovani che hanno difficoltà a trovare il modo in cui sopravvivere. La parola NEETs è stata utilizzata per la prima volta in un report sociale nel Regno Unito nel 1999. In Giappone si definisce giovane una persona la cui età è compresa tra 15 e il 34 anni, ma in alcuni casi si arriva a definire giovani anche coloro che arrivano a 39 anni di età. Nel caso più comune si definisce giovane la popolazione la cui fascia di età va dai 15 ai 29 anni.

All’interno dei NEETs esistono dunque varie tipologie di persone. Ce le spiega?
Quando si parla di NEETs una delle discriminanti più importanti è l’attitudine verso la ricerca del posto di lavoro. I NEETs si dividono tra coloro che cercano lavoro e coloro che hanno smesso di cercarlo. Quando io parlo di NEETs escludo dalla mia ricerca coloro che cercano lavoro perché il Giappone ha già attivato politiche sociali utili ad aiutare chi cerca lavoro. Queste politiche sociali sono iniziate nel 2004, quando abbiamo scoperto che tra la popolazione non attiva – oltre alle fasce che già conoscevamo come le giovani casalinghe con bambini piccoli, i pensionati o gli studenti – c’era una grandissima fetta di giovani in età lavorativa che non cercava più lavoro. Il 2004 segna anche uno dei picchi storici di disoccupazione massima per il Giappone. La mia definizione di NEETs si riferisce dunque a quelle persone che non hanno lavoro e non lo cercano. Giovani che sono scoraggiati e per i quali servono nuove politiche sociali. In generale abbiamo rilevato che si tratta di situazioni maturate a seguito di esperienze negative. In questa categoria rientra anche quella parte delle casalinghe che non cercano lavoro. Il Ministero giapponese del lavoro ha un concetto simile al mio.

Quali sono le ragioni principali per cui in una società si sviluppa il problema dei NEETs?
La risposta è molto complessa. Una ragione, semplice ma importante, è stata la recessione economica che in Giappone ha avuto il suo picco massimo dalla fine degli anni ’90 fino ai primi anni del 2000. In Giappone c’è una usanza: subito dopo la laurea il giovane laureato ha una grande chance di trovare un impiego. Durante il periodo della recessione non pochi giovani fallirono la chance di trovare un lavoro regolare subito dopo la laurea. A questi ragazzi furono offerti salari molto bassi, senza la prospettiva di poter diventare regolari. Per loro fu una esperienza scioccante, molto scoraggiante. C’è poi chi, nonostante abbia fatto molti colloqui, non è stato assunto. Il risultato è che questi soggetti hanno finito col pensare: “io nella società non servo” e hanno sviluppato sentimenti di paura e di timore del confronto.

Che incidenza hanno allora i problemi di comunicazione sui NEETs?
Questo in effetti è il terzo motivo, ed è un po’ una conseguenza degli altri due. Soggetti che hanno alle spalle fallimenti nei colloqui e nella ricerca del lavoro sviluppano stati di stress e problemi di comunicazione. Sono molto nervosi quando devono comunicare e affrontare gli altri. In alcuni casi i NEETs sottostimano la loro capacità di comunicare o sovrastimano questa skill. Alcuni, ad esempio, dicono “non sono abituato a parlare con le persone che non conosco”. I giapponesi sono generalmente molto modesti e sono molto seri quando si riferiscono a questi problemi di comunicazione.

Quello dei NEETs è anche un problema di solitudine e gli hikikomori sono solo l’altra faccia della medaglia.


Yuji Genda, Professor of Labor Economics, Institute of Social Science, The University of Tokyo

Il Giappone è un paese molto complesso tanto che parallelamente a chi non lavora o non cerca lavoro, soprattutto tra i giovani, c’è chi lavora troppo…
Si tratta, in effetti, della quarta ragione per cui in Giappone si è sviluppato il fenomeno dei NEETs. Oltre alla recessione e alla mancanza di opportunità di lavoro, c’è stato chi impiegato in una azienda è costretto a lavorare tantissime ore, fino allo sfinimento. In giapponese questo fenomeno si chiama karoshi, ovvero le morti da super-lavoro. Agli inizi degli anni 2000 è stato un grande problema. In alcuni casi i giovani hanno iniziato a soffrire di malattie mentali e molti giovani si sono dovuti licenziare presto. Questi ragazzi hanno lavorato tanto e seriamente, ma non riuscendo più a sopportare quelle condizioni hanno finito col pensare: “questo lavoro è troppo duro per me, non ce la faccio” e lo hanno lasciato. Si tratta di una fetta di popolazione giovane che viene scientificamente definita come “Burnout”, cioè ragazzi “bruciati”. È stata diagnosticata anche la “burnout syndrome” per indicare coloro che sono stati costretti a lasciare presto il lavoro a causa di forti stress.

L’idea generale che però che i NEETs siano fannulloni che non hanno voglia di fare niente. Si tratta di un’ idea sbagliata…
Sì certo, la storia che ci sta dietro è molto diversa. Nel caso dei “burnout” siamo anzi di fronte a soggetti che hanno lavorato moltissimo e in modo serio ma che sono diventati NEETs dopo essersi esauriti al lavoro.

Che rapporto c’è tra la struttura sociale di un paese e l’emergere del fenomeno dei NEETs?
La quinta motivazione è relativa alla famiglia. I genitori giapponesi tendono a proteggere troppo i figli. In questo senso la società italiana e la società giapponese sono simili. Quando i figli falliscono nel tentativo di trovare un lavoro e sono scoraggiati i genitori li supportano, li accolgono a casa, gli danno da mangiare e da vivere. Nel caso dei paesi di cultura anglosassone i rapporti familiari sono diversi e i genitori non supportano così tanto i figli. Non a caso in questi paesi il numero degli homeless è molto alto. In Giappone non abbiamo così tanti homeless come succede invece negli USA e in UK proprio perché c’è la famiglia che protegge i soggetti più deboli. Quando però chiediamo a questi NEETs perché non cercano lavoro loro rispondono: “Lo farò domani. Oggi non posso, ma domani lo farò”. Nel frattempo possono comunque permettersi di vivere grazie alla protezione economica dei genitori. In questa situazione i NEETs sono portati a non lasciare più il loro nido parentale.

Quali conseguenze può portare questa protezione da parte della famiglia?
Il problema del rapporto tra famiglia e NEETs tocca il tema del “Social Reliance” o “Sociali Independence”. È un problema di lavoro, di salario ma alla base ci sono anche problemi familiari di “dipendenza reciproca” tra genitori e figli. Per esempio, quando si chiede a delle giovani donne chi sia la loro migliore amica, in alcuni casi rispondono “mia madre”. Se si chiede alla madre chi sia la loro migliore amica, loro rispondono “mia figlia”. In questi gruppi la comunicazione è ridotta a un numero minimo di persone. Quando si chiede ai giovani giapponesi se hanno amici, spesso rispondono dicendo che ne hanno “pochi” o addirittura “nessuno”. In questi casi ci troviamo ad affrontare il problema della “social exclusion”, l’esclusione sociale. Si tratta di soggetti che sono esclusi dalle istituzioni, dalle politiche sociali e dalle abitudini generali. In questo gruppo rientrano anche gli hikikomori. Si tratta di soggetti con grandi difficoltà a socializzare e che avrebbero bisogno di ricevere un sussidio dal governo e politiche mirate di supporto.

Lettura del grafico elaborato dal Prof. Yuji Genda: sviluppo dei NEETs in Giappone 1992 – 2015: Guardando la statistica si vede come, in generale, con il miglioramento delle condizioni economiche i NEETs siano diminuiti. Parallelamente è però interessante notare come, a fronte di questa diminuzione generale, la composizione dei NEETs sia cambiata e siano cresciuti i soggetti che non sperano più di trovare un lavoro. Questo è un grande problema e io credo che una gran parte degli hikikomori appartenga a questa categoria.

NEETs e hikikomori: cosa lega queste due fasce problematiche di giovani?
Il problema dei NEEts e degli hikikomori ha, originariamente, una stessa radice: troppa protezione dei figli da parte dei genitori, mancanza di rapporti sociali, troppa pressione a livello della comunicazione. Questi tre fattori sono alla base della reazione di soggetti come i NEETs e gli hikikomori. La protezione della famiglia, la mancanza di relazioni sociali è un problema non solo in Giappone, Italia o Spagna, ma anche in Corea dove c’è un alto numero di hikikomori. In questo caso è la competizione, anche a scuola, ad avere un grande impatto sulla società. In Giappone, a causa della decrescita demografica, questo problema si è un po’ diluito. Sono soprattutto gli uomini a diventare hikikomori piuttosto che le donne perché agli uomini è richiesto di essere soggetti attivi che si creano una famiglia e lavorano.

Che futuro attende NEETs e hikikomori?
Quando si entra nella spirale dei NEETs è molto difficile uscirne. Chi non ne esce può diventare prima middle aged hikikomori e poi old aged hikikomori. Si tratta di un grave problema sociale che oggi in Giappone indichiamo con la formula “7040 problem”. Il numero 40 si riferisce alla fascia d’età tra i 40-49 anni, mentre il numero 70 indica la fascia d’età tra i 70-79 anni. Questo termine viene usato per indicare i middle age hikikomori (40-49 anni) che vivono con i genitori che hanno tra 70 e i 79 anni. Generalmente questi genitori sono persone che si sono ritirate dal lavoro, che vivono della pensione pubblica e che hanno messo da parte dei risparmi. I figli che sono middle aged hikikomori, invece, non hanno denaro per il proprio sostentamento. Si creano così situazioni molto comuni in Giappone: al piano terra vive il genitore anziano e al piano superiore ci sta il figlio hikikomori il quale vive di riflesso sulla pensione del genitore. Se si guarda un po’ più in là si scorge però subito un altro problema perché nel giro di alcuni anni i genitori probabilmente moriranno e gli hikikomori non avranno più di che vivere. Ecco così che si sviluppa un nuovo problema, quello del kodokushi – le morti solitarie o morti in solitudine, che in Giappone è già adesso un problema. I middle aged hikikomori probabilmente finiranno col morire come kodokushi.

Quali sono, secondo lei, le principali attività da portare avanti per aiutare NEETs e hikikomori ?
È necessario agire sia quantitativamente che qualitativamente attivando politiche sociali adatte a questi soggetti svantaggiati. Servono programmi pubblici per formare esperti in grado di rispondere alle difficoltà individuali dei NEETs e dei middle aged hikikomori. È necessaria, inoltre, una collaborazione coordinata tra le organizzazioni di supporto a cui appartengono questi esperti. Ad esempio, dovrebbero essere costituiti consorzi di sostegno che coinvolgano organizzazioni governative e non profit, scuole, imprese, sindacati e comunità locali a livello nazionale e locale. Questi consorzi dovrebber coordinare le organizzazioni di sostegno e le istituzioni per fornire un supporto personalizzato per i NEETs, in modo che possano tornare a far parte della forza lavoro a lungo termine. Bisogna inoltre valorizzare lo scambio internazionale di informazioni per capire e imparare dalle situazioni di altri paesi e sviluppare azioni per il sostegno dei NEETs oltre i confini nazionali.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter