Giobs ActIl Buddha della legislatura

Il Rosatellum è la nuova legge elettorale della Repubblica, benedetta e riconosciuta giovedì in Senato da Denis Verdini con un intervento che è sintesi e storia dell’intera legislatura. Nata zoppa ...

Il Rosatellum è la nuova legge elettorale della Repubblica, benedetta e riconosciuta giovedì in Senato da Denis Verdini con un intervento che è sintesi e storia dell’intera legislatura. Nata zoppa e morta monca, condensata in una mezz’ora scomodissima per tutti. La verità, nota quanto antipatica, è che nella legislatura dei trasformismi e dei compromessi Verdini è l’unico che è rimasto immobile come una statua. O meglio, come un Buddha. “La nostra scomoda presenza ha sterilizzato i massimalismi postcomunisti e gli integralismi cattolici che vivono ancora con la testa nel passato e i piedi nel trapassato” la sintesi di Denis da Fivizzano, ad indicare i poli tra cui ha orientato la bussola sua e di tutti gli ultimi quattro anni e mezzo.

Sempre in maggioranza ma mai al governo, Verdini si è permesso il lusso di orientare ogni singolo provvedimento giocando con l’abaco del Senato, di cui è maestro. E se la sinistra bersaniana ingoiava il Jobs Act per uscire dal Pd un anno dopo, quando si cominciava a discutere dei prossimi seggi dopo il naufragio della riforma costituzionale, Verdini il Jobs Act lo rivendica. E come il Jobs Act, a braccetto con lo stralcio dell’articolo 18, pure la responsabilità civile dei magistrati, l’eliminazione della tassa sulla prima casa e le unioni civili. Tra i massimalismi postcomunisti e gli integralismi cattolici, appunto. Perché se è vero che si è spostato da Arcore a Pontassieve nel tempo di un Nazareno, lo è altrettanto che le riforme varate da Renzi sono le stesse annunciate, chieste e mai attuate da Berlusconi. Insomma dice il vero quando dice che c’è sempre stato: soprattutto con sé stesso e con le sue idee.

Sgombriamo comunque il campo da ogni equivoco: Verdini non è un eroe né un padre della patria. Sulle sue decisioni, com’è logico che sia, ha sempre pesato una massiccia dose di cinismo. Verdini fa politica, negli anni di Instagram e dei treni elettorali. Non è neppure né tanto meno un santo: mai che abbia voluto esserlo, ci mancherebbe. Ma il suo vocione che rimbomba a Palazzo Madama proclamando orgoglioso la “presunzione d’innocenza fino all’ultimo grado di giudizio” suona nostalgicamente coerente rispettoso di un’aula troppo spesso ridicolizzata nell’ultimo periodo storico, ricco di grillismi e strali sulla sacralità della Costituzione. A fasi alterne.

“Avremmo votato anche la stepchild adoption, così come valuteremo il testo biologico” rivela tirando un sonoro ceffone alla sinistra, che non ha mai avuto il coraggio di imporre le sue idee. Al contrario suo, col rischio diventato realtà di perdere le chiavi di Arcore. “Votiamo anche lo ius soli” rilancia poi nel finale come un attore consumato. L’ultimo sussulto, annunciato in faccia ai colleghi che finalmente avevano pensato di chiuderla, questa maledetta legislatura. E invece sono ora nudi di fronte allo specchio e alla prova provata di una maggioranza che c’è, se solo e davvero vuole realizzare quella che (soltanto a favor di digiuni e di telecamere) sarebbe “una legge di civiltà”.

Intanto Denis, immobile come un Buddha e pur appesantito da qualche chilo di troppo e dall’immagine del voltagabbana, porta finalmente a casa la legge elettorale. Non la legge ideale, non sua figlia: quella era l’Italicum (che lontani dai microfoni concordano tutti come fosse decisamente migliore del Rosatellum), ma “sua nipote”.

Nelle righe del Rosatellum è inserita la possibilità, per le liste in coalizione, di eleggere un pugno di deputati con l’1%. Una percentuale più che interessante, per Verdini e il suo gruppetto di fedelissimi impegnati ogni giorno in una corsa contro il cronometro di riunioni, telefonate, incontri, tele tessute e disfatte intorno alla scrivania del gran capo in via della Scrofa. Ma il fuoco d’artificio di Verdini potrebbe non essere la rielezione, ma una prospettiva di cui tutti i commentatori si trovano in fondo già concordi: il prossimo governo a guida Renzi e Berlusconi. Vuoi vedere che anche qui c’è la mano di Verdini?

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