Il nostro tempo si sta caratterizzando nella moda (non solo linguistica) dei prefissi come meta, trans, iper, multi e soprattutto post. Ed è una tendenza a tratti inquietante, esasperata, eccessiva perchè la si applica in ogni situazione come quando nel frigo appiccichi i magneti ricevuti da amici e parenti di ritorno dalle vacanze.
Ed è di questi mesi l’ormai stra sentita post-verità (caspita ho detto stra …?) accanto a termini come multilevel o trans-qualcosa oppure meta-informazione o ancora l’ipertrofia: sintomi di un vezzo degli scrittori (me per primo) e di una vogliosa esagerazione sulla realtà, l’insaziabile smania di procedere fast and furious oltre ogni ragionevole limite. Sembra che i confini dell’umano stiano stretti ed è un respirare sempre con il corto corto. Lo vedi già nei ragazzini la maggioranza dei quali non è “di tendenza” se rimane una casa a fare i compiti e basta. Infatti sarebbe lesa maestà affermare di avere una vita al top senza andare a nuoto, poi la scherma, subito dopo pianoforte e la chitarra acustica, fare un giro al parco giochi, gelato in piazzetta o il panino nel noto fast food. Molti genitori arrivano a vette olimpiche con il lavoro, le commissioni alla posta e in banca, le telefonate e l’ausilio alla mamma (o alla suocera), le tante mail , la spesa con il carrello pieno, la chat con le amiche e sopratutto seguire i figli che vanno scarrozzati una nuoto, al pianoforte, alla scherma, lasciati per il gelato o il panino di sughero nel noto fast food per poi riportarli a casa. E quel che succede nel nostro corpo accade nella nostra mente in un crescendo di “addizioni” e di moltiplicazioni delle cose da fare.
La cosa più preziosa che puoi ricevere da chi ami è il suo tempo.
Non sono le parole, non sono i fiori, i regali. È il tempo.
Perché quello non torna indietro e quello che ha dato a te è solo tuo, non importa se è stata un’ora o una vita.La chiamno la fascinazione del “presente” ed è irresistibile farne a meno: la post-age ci prende per mano per farci superare i confini del possibile mescolando fino alla confusione e alla congestione spazi e tempi, ruoli, distinzioni, giudizi e opinioni. Questo stesso magnetico potere attrattivo del post che facciamo post qualcos’altro comincia però nei ultimi tempi a mostrare llimiti e fragilità sopratutto nell’impatto inevitabile sui nostri pensieri e le nostre relazioni producendo situazioni inquietanti. Che dire osservando l’insensatezza di alcuni i quali non sanno chi è la piccola Annelies “Anna” Frank – la ragazza ebrea olandese che tenne un diario durante le persecuzioni naziste dei primi anni Quaranta, poi pubblicato in tutto il mondo alla fine della guerra – eppure “pensano” di accostarla come simbolo di insulto verso altre tifoserie. E le contraddizioni si pescano a migliaia, tutte comunque riconducibili ad una stimolazione pseudo informativa ingannevole che si nutre per quantità di clic e non per qualità, che procede – dicono gli esperti – in orizzontale, mettendo in fila più cose senza approfondire in verticale e sforzarsi di domandare, fermarsi a riflettere. insomma, si cerca disperatamente un qualcosa e riempire il vuoto dimenticando totalmente i significati. Sentendo vari commentatori, aumenta lo sconforto come sentirsi condannati alla demenza 2.0.
Tuttavia si apre una dibattito a mio avviso provvidenziale sul desiderio di tornare ad essere persona e vedere l’Altro così come lui è non solo un account o un nickname. Se chiedi ad una persona innamorata (e al migliore amico) cosa è “il tempo” in ordine della relazione autentica probabilmente ti risponderà come il filosofo Agostino d’Ippona un “non lo so”. Un pensiero sul tempo invita a viverlo più per sottrazione che per addizioni di cose, posticipando quella giusta per altre inutili , scegliendo magari un bacio e un abbraccio, con le persone più importanti, momenti non certamente barattabili con il pollo bruciacchiato sul forno o la notifica sui social. Nell’ultimo libro del filosofo contemporaneo – il profumo del tempo, edito da Vita e pensiero– Byung Chul-Han invita in qualche modo a posteggiare la macchina spericolata del post contro gli affanni delle accelerazioni tecniciste. Percorrendo in modo originale il pensiero filosofico sul tempo, da Aristotele e Tommaso a Heidegger e Arendt, passando per Hegel, Marx e Nietzsche (ma soffermandosi anche un lungo sull’opera di Proust), egli ci mette di fronte a quella che riassume come un ‘assolutizzazione della vita activa: la necessità di produrre (e consumare) come forma di realizzazione umana, che finisce per sottrarre all’uomo il respiro e lo spirito.
Bisognerebbe – mi sono chiesto un termine di lettura di questo saggio – provare il bisogno di setacciare questo “tanto a un chilo” delle informazioni , selezionando così il vero dal falso e ritrovare la strada di casa magari senza il navigatore, aprire con normali chiavi di ferro senza premere un pulsante, aver dato sicuramente il meglio di sè al lavoro e magari ricevere il meglio degli altri fuori dal lavoro e viceversa. Credo che la più bella notifica non la leggi nello schermo di un pc ma nei tuoi e negli occhi di chi si ama veramente. Come scrive Chul-Han, impariamo l’arte di indugiare sui cose puntando alla qualità del tempo e sentirne il profumo.