Il voto del 22 ottobre in Veneto ha molte facce e si presta a diversi punti di vista. Ed anche a diversi equivoci e strumentalizzazioni. D’altronde, il quesito è così generico, ampio e apodittico che è normale che sia così. Da questo punto di vista è molto più onesto e completo il quesito proposto dalla Regione Lombardia.
Da una parte c’è lo scontro politico-giudiziario: confronto alto, che vede impegnati grandi giuristi davanti alla Corte costituzionale. Dall’altra c’è lo scontro politico in senso stretto, troppo spesso modesto e intellettualmente disonesto.
Sullo sfondo una norma – l’art. 116 Cost. – che viene strumentalizzata dagli stessi proponenti, che a stento celano mai sopite fantasie secessioniste che con il federalismo non hanno nulla a che vedere.
Emblematico in questo senso l’allegato A alla Delibera della Giunta della Regione Veneto n. 315 del 15 marzo 2016, che contiene “l’illustrazione specifica e puntuale delle richieste che la Regione intenderebbe avanzare allo Stato” per ottenere condizioni particolari di autonomia secondo quanto previsto dall’art. 116 Cost. e che – attenzione – costituirebbe l’oggetto indiretto del quesito referendario in Veneto, anche se nessuno lo dice e pochi lo sanno.
Il principio che sta dietro l’art. 116 Cost. sarebbe piuttosto semplice: le regioni a statuto ordinario possono chiedere la devoluzione a livello locale delle risorse che prima lo Stato spendeva direttamente per esercitare quelle funzioni che domani, invece, sarebbero esercitate dagli organi regionali, dotati di nuova e più ampia autonomia.
Naturalmente, per avanzare una domanda di questo genere la regione interessata deve essere convinta di poter fare meglio dello Stato in quelle materie delle quali è prevista la delegabilità, che sono:
Materie di legislazione esclusiva dello Stato:
– organizzazione dei Giudici di pace;
– norme generali sull’istruzione;
– tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali;
Materie di legislazione concorrente Stato-Regioni:
– rapporti internazionali e con l’Unione europea;
-commercio con l’estero;
– tutela e sicurezza del lavoro;
– norme di dettaglio sull’istruzione;
– professioni;
– ricerca scientifica e tecnologica;
– sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
– tutela della salute;
– alimentazione;
– ordinamento sportivo;
– protezione civile;
– governo del territorio;
– porti e aeroporti civili;
– grandi reti di trasporto e di navigazione;
– ordinamento della comunicazione;
– produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
– previdenza complementare e integrativa;
– coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
– valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
– casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
– enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
Il principio che sta dietro l’art. 116 Cost. è insomma quello della devoluzione della spesa storica statale regionalizzata per le nuove funzioni delegate. Se la regione sarà più efficiente dello Stato (MOSE permettendo, se parliamo di Veneto) potrà anche registrare dei risparmi, ma non c’è verso di utilizzare quell’articolo costituzionale per lucrare sul residuo fiscale in sé e per sé, perché una partita del genere è una partita diversa, che si deve giocare in Parlamento per modificare la Costituzione.
Ma allora, se è così, la Delibera della Giunta della Regione Veneto n. 315 contiene delle previsioni che in partenza non risultano negoziabili alla luce dell’art. 116 Cost. (e questa è demagogia, tutta istituzionale, tra l’altro). L’ultimo articolo del deliberato, ad esempio, sotto il titolo “Disposizioni finanziare”, stabilisce che la Regione Veneto abbia diritto di trattenere i nove decimi del gettito dell’Irpef riscosso sul proprio territorio, i nove decimi del gettito dell’Ires ed i nove decimi del gettito dell’imposta sul valore aggiunto.
Una previsione che, secondo il Governatore Zaia, farebbe del Veneto una regione a statuto speciale come l’Alto Adige, ove il 90% delle tasse resta sul territorio.
Orbene, avere l’autonomia fiscale dell’Alto Adige (ma magari non i suoi dipendenti pubblici, visto che in autonomia ne impiega 50 mila su una popolazione di circa 500 mila abitanti) è sicuramente un grande obiettivo federalista, ma non costituisce oggi un obiettivo negoziabile alla luce dell’art. 116 Cost. (ed infatti la proposta contenuta nella Delibera 315 è già stata giudicata non ricevibile dal Governo). Per non dire che alla base della particolare condizione dell’Alto Adige e della sua disponibilità dei 9/10 vi è un trattato internazionale stipulato con l’Austria.
Dunque, delle due l’una: o la Giunta regionale ci chiama a referendum su una cosa non fattibile – e non è serio, anzi, è riprovevole chiamare i cittadini ad esprimersi su qualcosa che non può essere – oppure ci chiama su qualcosa che nemmeno lei conosce bene.
Oppure ancora – come io credo – la Giunta regionale si sta prendendo gioco di noi per scopi estranei allo stesso quesito referendario.
Si svela così l’inganno: l’apparente richiesta di nuove condizioni di autonomia a parità di risorse finanziarie nasconde in realtà il solo obiettivo della Giunta di ridurre il peso della perequazione interregionale ed appropriarsi di una quota maggiore delle risorse fiscali che si prelevano sul proprio territorio, ben oltre la spesa statale storica di cui si chiede la devoluzione.
Una confusione di piani diversi (quello, appunto, oggi impossibile dell’autonomia modello Alto Adige e quello del trasferimento di nuove competenze a parità di risorse previsto dall’art. 116 Cost.) che finisce per alimentare la stessa voglia di secessione delle regioni più ricche.
Mi dispiace, ma faccio il federalista fuori dal coro, perché la demagogia (che i migliori dizionari descrivono anche come “corruzione del popolo”), è un allucinogeno pericolosissimo, tanto più se proviene dalle istituzioni.
Per quanto mi riguarda, senza alcun progetto preciso rispetto a quello che si intenda fare con maggiore autonomia, il residuo fiscale come battaglia fine a se stessa significa solo maggiore capacità di spesa nelle tasche dei governanti locali.
E non è nemmeno onesto non discutere con i cittadini quali siano le materie su cui si ritenga che il Consiglio regionale debba legiferare in luogo del Parlamento nazionale. Non è detto che a tutti vada bene che il Consiglio della Regione Veneto detti i principi generali sull’istruzione stabilendone addirittura le “finalità” come dice la Delibera n. 315 (vogliamo davvero il dialetto veneto a scuola?).
E ha senso assumere a livello locale la gestione dei rapporti internazionali e con l’Unione europea, la gestione dei porti (già inquadrati in un conteso internazionale), delle grandi reti di trasporto e di navigazione, l’ordinamento della comunicazione, la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia ?
E vogliamo per caso anche prenderci la vigilanza sulle banche locali? La classe dirigente del Veneto mi pare rimasta troppo a lungo in silenzio sulla cattiva gestione che ha portato al fallimento delle nostre due popolari quest’anno.
Insomma, la proposta di referendum sui 9/10 di prelievo fiscale non è seria, così come non è serio raccontare ai cittadini che l’art. 116 Cost. potrebbe moltiplicare i pani e i pesci.
C’è invece un unico modo di vedere questo referendum al di là della demagogia della stessa Giunta regionale che lo propone e di una forza politica che ha abbracciato tesi sovraniste calpestando quelle federaliste, che cerca nell’Europa l’alibi per le cose non fatte in Italia (anche quando era al Governo e alla maggioranza), che vuole uscire dall’euro, chiudere i confini, ridurre l’età pensionabile e introdurre una flat tax senza coperture precise.
Ricordate una delle più grandi lezioni di vita dello zio di Peter Parker al futuro Uomo Ragno? Da grandi poteri derivano grandi responsabilità.
Di questo si tratta ogni volta che si rivendica maggiore autonomia. E questo è l’unico modo di vedere l’art. 116 Cost., perché se avremo maggiori risorse grazie a nuova autonomia in certe funzioni, sarà solo grazie a politiche di risparmio e di maggiore efficienza rispetto a quelle seguite dallo Stato. Solo una questione di responsabilità. Questo devi raccontare ai cittadini se vuoi essere onesto.
Per tutte queste ragioni mi sento preso per i fondelli ad essere chiamato al voto sui 9/10 e non sull’Uomo Ragno. E il voto è una cosa seria, come le istituzioni. Comprese quelle regionali.