Nel ritmo frenetico degli acquisti si “ciondola” letteralmente tra uno scaffale e l’altro. Luci e colori, offerte e sconti lampeggiano fino ad annebbiare lo scopo. Come se la qualità della confezione, scusate packaging, migliorasse la qualità del contenuto.
Ragazzi si chiude. Siamo alla meta-vendita, come direbbe Pareto. Abbiamo superato la fase nella quale i negozietti chiudevano per mancanza di vera concorrenza sul prezzo. Siamo arrivati oggi alle grandi catene distributive che calano i battenti perché inermi di fronte alla tragica vendita online. Lo dimostrano esempi come Barnes and Nobles che ammutolisce rispetto ad Amazon; Block Buster ormai è un caso da manuali universitari; Wallmart arriverà a breve. I principali motivi sono legati oltre ai soliti tecnicismi fiscali – vedi tassazione agevolata, sedi distaccate, sedi legali nelle isole più sperdute del Pacifico – ad una vera e propria mancanza, ad oggi, di sana concorrenza. Un negoziante, oggi, se non vende attraverso il web, attraverso servizi terzi diciamo che può resistere un semestre, forse. Da non dimenticare la percentuale che i servizi terzi, che danno risalto ai prodotti, ricevono sulla effettiva vendita del negozietto.
Un esempio per tutti: un noto sito di vendita online di Coupon ricavava, su ogni coupon venduto, circa il 70% del prezzo finale. Come ho visto in prima persona – in una piccola palestra di provincia – su ogni coupon venduto a 10 euro il ricavo vero (re-investibile) della palestra era 3 euro.
Fate voi le vostre giuste considerazioni.
La realtà sarà sempre tangibile. Un quesito che attanaglia le più brillanti menti degli atenei più famosi del mondo: come mai nell’epoca odierna i servizi digitali corrono al galoppo nei fatturati mentre l’agenzia di viaggi muore?
Perché i primi vendono un prodotto, magari senza nemmeno uscire di casa – Netflix in prima fila, Skyscanner lo tiene per mano – i secondi qualcosa di fisico da fare. I primi quindi vendono una experience, legata ad un misero prodotto, al contrario dei secondi che, al massimo, possono promettere una buona esperienza post acconto. Siamo quindi in presenza di luoghi – Mc Donald’s, Kfc, Domino’s Pizza, Pizza hut etc – che vendono effettivamente prima l’experience del prodotto. Ricordate i famosi Happy Meals? Avete una pallida idea di quanto ricoprano nel fatturato l’idea di mettere aggeggi plastificati – paccottaglia – insieme al cibo facendo leva sulle grida dei bambini? Siamo al 48%, dato 2015. L’experience è sensazione, tutto e subito, quasi sicuramente brutto, ma almeno colma una piccola lacuna psicologica legata all’acquisto. Siamo passati dai grandi store di abbigliamento che vendevano vestiti, brutti, a bassissimo prezzo alla vendita di emozioni legate all’acquisto. La realtà virtuale legata alla vendita è il prossimo passo obbligato, anche prevedibile per certi versi.
Non è complesso identificare chi vende experience. Se lo slogan inizia con “Oggi finalmente puoi” significa che sta vendendo sogni”. Ed i sogni non sono solide realtà.
Krugman
Psicoeconomie per grandi. Immaginate una grande città, una metropoli, con ritmi di vita diciamo accelerati. Immaginiamo anche gli abitanti: tante, tantissime persone che si affrettano a fare tutto di fretta per raggiungere uno scopo. E poi non dimentichiamo il clima lavorativo: tanto lavoro, per tante ore, per tanti giorni. Ora prendete tutti queste variabili, moltiplicatele e inserite due coefficienti: il primo è lo stress, il secondo è la mancata aspettativa che si traduce in frustrazione. Il primo deriva dalle variabili, più le variabili sono vorticose più il coefficiente cresce; il secondo deriva sostanzialmente da qualsiasi cosa che non rientra nelle aspettative di una determinata persona, dalle cose trascendentali alle minimal: una relazione andata male, un parente che muore, non trovare parcheggio, fare un cattivo affare, la pioggia etc.
Il risultato di questa formula dà inequivocabilmente un risultato non sostenibile per l’individuo cioè genera estrema frustrazione che, praticamente sempre, sfocia nell’acquisto frenetico per cercare sollievo, riposo, diciamo soddisfazione. Ecco il perché c’è gente che fa la fila in pigiama la mattina per una colazione gratis da un fast food; ecco perché i famosi black Friday sono scenari da allerta codice rosso; ecco perché funzionano tutte le offerte tre per due.
Le persone riversano nell’acquisto le loro frustrazioni generando un falso appagamento. Strano vero? Assolutamente no visto che, ad oggi, siamo al passo successivo. Abbiamo digerito e preso per normali situazioni di caos in periodo natalizio nei negozi, e questo un mercato capitalistico non può tollerarlo perché la staticità, nella vendita, lo ucciderebbe. Soluzione: acceleriamo le vendite e cambiamo nome al prodotto. Vendiamo qualcosa di ancora più immediato del prodotto acquistato: vendiamo l’idea di poter avere tutto, immediatamente. L’idea di poter accedere ad un servizio viaggia, nel nostro cervello, molto, tremendamente molto, più velocemente rispetto alla razionalità. E le aziende lo sanno.