Homo sumIl mobbing e lo straining ai tempi della crisi

di Francesco Carini In uno stato di precarietà professionale crescente, in cui il tempo indeterminato appare come una chimera, anche se in alcuni ambienti viene fatto passare per una forma di arre...

di Francesco Carini – Homo Sum

In uno stato di precarietà professionale crescente, in cui il tempo indeterminato appare come una chimera, anche se in alcuni ambienti viene fatto passare per una forma di arretratezza culturale piuttosto che per un elemento necessario a costruirsi una vita normale, si sente parlare sempre più di mobbing e straining.

Ebbene, il primo fenomeno, il cui nome deriva dall’inglese “to mob” e con un significato assimilabile al verbo assalire (comunque relativo all’atto di commettere angherie), rappresenta un pericolo sociale da tutti i punti di vista, soprattutto in un momento di grande incertezza sotto il profilo lavorativo come quello che sta passando l’Italia. L’antropologa lettone Vieda Skultans ha illustrato in passato come le trasformazioni della psichiatria abbiano seguito a ruota il mercato con patologie legate all’ansia e ad altri sintomi, in diretta corrispondenza con l’insuccesso sociale o le difficoltà economiche, e, in un contesto come quello del Bel Paese, ci sono tutte le condizioni necessarie affinché il posto di lavoro possa diventare un autentico inferno per l’impiegato, dal momento che un collega o un “sottoposto” possono costituire una minaccia alla posizione che si deve difendere con le mani e con i denti pur di arrivare a fine mese. E questo vale per ogni tipo di categoria, considerando il livello generale degli stipendi.

La situazione descritta dal rapporto di Eurofund “Occupational change and wage inequality” dello scorso giugno rappresenta lo specchio di un iniquo mercato del lavoro (analisi di dati raccolti fra il 2008 e il 2016) che rischia di costituire la mina vagante per una pericolosa spirale di comportamenti disfunzionali. Nonostante un leggero miglioramento dal 2013 in poi, quanto descritto nel report indica che l’aumento dell’occupazione fra i lavoratori meno qualificati si sia accompagnata ad una riduzione dei salari e ad una diminuzione dello stipendio di quelli con titoli di studio più alti, con un’importante differenza fra l’Italia e paesi come la Germania. Morale della favola: si corre il rischio di condurre ad un ulteriore incremento dell’emigrazione di italiani giovani e meno giovani verso altre mete, fra rabbia e nostalgia, a meno che non si cerchi di difendere il proprio orticello con tutte le proprie forze, spesso con tecniche miserabili e calpestando i possibili “competitors” (purtroppo usare questo termine é d’obbligo, poiché il meraviglioso principio della “colleganza” é attualmente meno praticabile di qualsiasi forma di socialismo utopistico).

Ed é proprio in una situazione del genere che… Continua a leggere

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