Durante Spagna-Italia ne avevo avuto il sospetto, ma dopo l’andata dei playoff contro la Svezia è ormai una certezza: il commissario tecnico della Nazionale italiana di calcio vive in un mondo tutto suo. Una sorta di dimensione parallela, bellissima, che potremmo quasi definire come Il Fantastico Mondo di Gian Piero Ventura. Un mondo fatto di case con i muri di marzapane e i tetti di millefoglie, le strade di torrone, le nuvole di panna e gli orsetti gommosi che girano felici per le strade tenendo al guinzaglio cani di cioccolata.
Quello stesso mondo nel quale Ventura è ampiamente convinto che la Nazionale di calcio da lui allenata possa battere la Svezia perché superiore ad essa a prescindere dal gioco, dai moduli, dalla determinazione da mettere sul terreno di gioco, perché tanto la sua squadra è più forte e non è possibile un Mondiale senza l’Italia, quindi vince comunque. Un mondo fantastico, appunto, dove tutto può succedere e l’impossibile diventa per magia possibile, al contrario di quel che accade nel nostro terribile mondo, dove una nazionale che per spregio definiamo di falegnami e banditi (fatevi un giro su Twitter) ci provoca per farci andare giù di testa e tanto le basta per superare un’Italia che oggi come oggi è il nulla più assoluto (e dove solo Buffon si salva).
In quel Fantastico Mondo succede anche che Bonucci sposta gli equilibri che è un piacere, mentre qui nel nostro di mondo ha un crollo di nervi dopo 20 secondi di gioco e per tutta la partita, anziché farsi rispettare, continua a urlare nel vuoto contro un avversario che di fatto lo bullizza. In quel Fantastico Mondo Verratti è un giocatore ormai maturo, forgiato da anni di partite internazionali con il Psg e leader indiscusso del centrocampo azzurro, mentre quaggiù gira a vuoto per il campo con qualunque modulo gli si decida di cucire addosso: non costruisce, non imposta, non ha nemmeno lui il controllo dei nervi e si fa pure ammonire da diffidato. In quel Fantastico Mondo – e potremmo andare avanti per delle ore, ma anche no – accadono altri fatti che qui faticheremmo a spiegarci: un modulo a una punta e non a due centravanti-fotocopia, Insigne titolare con un disegno tattico che non lo costringa a fare il terzino se non l’andare a giocare dove stava Verratti, un’identità di gioco chiara e non una squadra buttata lì a caso.
Perché ecco, è questo ultimo l’aspetto che più agghiaccia della Nazionale Italiana, oggi: il fatto ormai assodato e più non solo un’impressione che tutto sia lasciato al caso, all’intuizione di un singolo (e il palo di Darmian lo dimostra chiaro e tondo), a una mano divina dall’alto. E anche la fortissima sensazione che l’avversario non sia nemeno troppo conosciuto. In quel Fantastico Mondo forse l’idea di giocare con il 4-2-4 contro la Spagna al Bernabeu lasciandogli in mano il centrocampo poteva anche funzionare, qui no. Così come lì può riverlarsi efficace giocare con le palle alte contro gli altissimi svedesi mentre qui no, sai com’è.
E poco ci può consolare il fatto che se lunedì dovessimo fallire l’accesso a Russia 2018, martedì Ventura e Tavecchio staranno uscendo dalla sede della Figc per non farvi più ritorno. Così come poco serve a dire che è colpa dei troppi stranieri in campo – una polemica nuova, evviva! – o della nostra Serie A poco competitiva, perché allora l’Inghilterra dovrebbe essere almeno campione d’Europa in carica, tanto per buttare lì un esempio. Ci si deve augurare una volta per tutte che lo shock della mancata qualificazione al prossimo Mondiale possa servirci come una scossa, di quelle violente e definitive. Tre anni e mezzo fa siamo usciti dal Mondiale al primo turno da vicecampioni d’Europa e, da tifosi che hanno a cuore le sorti della Nazionale, abbiamo chiesto a gran voce un rinnovamento del nostro pallone che andasse di pari passo con quello degli altri Paesi. L’arrivo di Conte, ct che oggi rimpiangiamo salvo perculare se perde contro la Roma in Champions, è servito in realtà a nascondere le macerie sotto al tappeto.
Oggi il nostro è un movimento asfittico, che ha perso identità. Dice bene Chiellini quando fa notare che il tiki-taka ha rovinato i difensori italiani, così come ormai da anni spesso ricorre la preoccupazione sui giovani ai quali non viene più insegnata la sacra arte della marcatura a uomo. Avere un’identità non significa allo stesso tempo essere vecchi mentre si tenta di rinnovare, aspettando che qualcosa accada per magia. Ha poco senso aprire centri tecnici sul territorio come voluto da Tavecchio, se poi si mette a capo della Nazionale un ct che amministra così il gruppo: senza un filo logico che unisca gioco e deterinazione e idee chiare insomma. Manca un trait d’union, una spina dorsale. La stessa che avremmo dovuto avere ieri sera a Solna. Se la Nazionale maggiore è espressione del nostro calcio inteso non come Serie A ma come movimento, beh, forse possiamo valutare l’idea di andarcene in quel Fantastico Mondo e buonanotte.