“L’Europa è un’idea realizzata attraverso i secoli da pionieri, da rivoluzionari. Sta a noi farla rivivere, renderla più forte. La sola via che ci rimane è la rifondazione dell’Europa”.
Parlava così Emmanuel Macron nel settembre 2017, a pochi mesi dalla sua elezione a Presidente della Repubblica francese, in un discorso all’Università la Sorbonne di Parigi, di cui resterà negli anni impressa la visione e l’idea di rilancio del cantiere europeo.
Se non altro l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, da sempre freno ad ogni ulteriore tipo di processo integrativo, la sconfitta di Marine Lepen in Francia e l’inquietante segnale della crescita dell’AFD, l’estrema destra tedesca, alle elezioni dello scorso settembre hanno stimolato e riaperto un dibattito che da anni non si osservava in Europa: quale modello di Unione costruire e con quali obiettivi condivisi.
Il terzo paese più grande dell’area euro, l’Italia, per una volta senza doveri, è rimasto alla finestra per tutto l’anno, in attesa di capire che intenzioni avessero a Parigi e a Berlino. Uno stare alla finestra naturale quando concerne elezioni politiche di altri paesi, ma devastante se dovesse ripetersi nel 2018 al tavolo delle riforme per la nuova UE.
Quello che sta per iniziare infatti sarà, per opinione diffusa tra leader, think thank e euroburocrati, l’anno della riforma e del nuovo riformismo politico europeo, sostenuto finalemente da una moderata/discreta crescita economica dell’eurozona (2,4% nel 2017).
Con il discorso della Sorbonne il neo presidente francese Macron non ha fatto altro che aprire il cantiere dei lavori. Sul tavolo vi sono diverse proposte: quella di un Ministro delle Finanze dell’area euro che gestisca per la prima volta un proprio budget (solo per i paesi che ne fanno parte). C’è da capire dove verranno trovate le risorse, visto che si parte dall’ipotesi di una tassa per i colossi del web fino all’aumento di un punto percentuale dell’Iva per tutti i paesi dell’eurozona. Il tutto comunque è già oggi argomento di dibattito e nei prossimi mesi sarà oggetto di contrattazione tra i capi di governo che accetteranno il nuovo step di integrazione europea.
C’è poi la certezza, ormai abbastanza condivisa, di dover costruire una difesa europea comune superando i vecchi e dispendiosi eserciti nazionali. Come sembra evidente la necessetità di una intelligence antiterrorismo che metta insieme informazioni e dossier, oggi strettamente riservati, per le polizie nazionali. Allo stesso tempo, sta prendendo sempre più forza l’idea di trasformare il Fondo Salva Stati (ESM) in un vero e proprio Fondo Monetario Europeo di cui munirsi per futuri progetti e future crisi.
A ciò si aggiungono proposte interessanti che in queste settimane stanno venendo fuori da varie parti per aumentare lo spessore e la vicinanza dell’UE ai propri cittadini. Su tutte la proposta ben elaborata da un gruppo di economisti coordinati dall’ex Presidente Romano Prodi, che prevede un Piano Marshall da 150 miliardi di euro destinati all’Europa “sociale” (scuola, assistenza, edilizia pubblica). Questo progetto verrà ufficialmente presentato, per essere poi discusso, a fine gennaio a Bruxelles.
Il 2018 insomma si prevede foriero di novità politiche in Europa. Novità che riguarderanno tutti, in un modo o nell’altro, anche i paesi dell’est Europa ormai attestati su posizioni euroscettiche. Un’Europa a due velocità, con i paesi fondatori o legati dall’euro (Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Spagna, Portogallo, Austria, Grecia…) che lavoreranno per un’ importante trasformazione, ormai irrinunciabile, pena, alla prossima crisi, l’esplosione delle diffidenze e dei nazionalismi che si annidano in ogni paese del continente. Dall’altro i paesi del patto di Visegrad (Polonia, Ungheria, Rep. Ceca, Slovacchia), timorosi di perdere la propria sovranità, incapaci di avere una visione europea simile a quella della maggioranza delle popolazioni dei paesi fondatori. Timori legittimi legati ad una storia che li ha resi per decenni privi di autonomia, ma che in questi anni ha bloccato, congiuntamente ai veti britannici, ogni possibilità di evoluzione e di integrazione.
E’ verosimile che non appena in Germania si formerà il nuovo governo di larghe intese, tra socialdemocratici (SPD) e cristianodemocratici (CDU), lo scenario e il dibattito europeo si apriranno ufficialmente.
Due nuovi governi, quello francese e quello tedesco, legittimati da voti popolari e che hanno già esposto nelle rispettive campagne elettorali la propria visione di Europa. L’incognita sarà capire con quali idee arriverà l’Italia, con quale leadership (cosa non secondaria!) cioè chi rappresenterà il nostro paese formulando richieste e sottolineando i punti cruciali della nuova Unione Europea.
Non sarà indifferente se dovessero vincere forze antieuropeiste, forze che ancora pensano di proporre un referendum per uscire dall’euro inseguendo una ritrovata sovranità monetaria in un mondo che dal 2002, anno dell’indtroduzione dell’euro, si è notevolmente contorto e complicato. Come non sarà indifferente se a contrattare sarà una coalizione guidata da un raggruppamento eterogeneo, diviso tra componenti europeiste e componenti antieuropeiste.
Il tavolo delle trattative dunque è già pronto e a chi vincerà spetterà il compito di sedervisi (o non sedervisi, ipotesi vista non negativamente da alcune elites conservatrici del nord Europa).