Un premio Oscar e diversi premi internazionali vinti per i documentari girati ad Aleppo ribelle, eppure Fadi Halabi e Hasan Kattan in Turchia sono semplici rifugiati per i quali ottenere una Visa e poter viaggiare pare un sogno inaccessibile.
White Helmets e Last Men in Aleppo, vengono lodati e premiati in tutto in mondo. Ma Fadi e Hasan non ci sono mai, né in sala né sul palco. A dirla tutta, benché a fare le riprese siano stati soprattutto loro, i loro nomi sono nei titoli di coda dei documentari, ma non sempre o quasi mai negli articoli che ne parlano.
Non possono lasciare il regno di Erdogan. Non possono incrociare gli sguardi di colleghi importanti che hanno apprezzato il loro prezioso e importante lavoro. Non gli è consentito piangere di gioia su un palco, mentre gli applausi accarezzano il loro legittimo diritto di sentirsi amati, stimati, compresi, parlare con le celebrità con cui vorrebbero collaborare, passare in Paradiso – per quache instante – dopo anni all’inferno e in purgatorio.
Sia chiaro: non l’hanno fatto per la gloria: rischiare la vita ogni giorno, per anni, controllare le emozioni: il dolore, la rabbia, la disperazione, per riuscire a riprendere quanto accadeva sotto i loro occhi, tenersi fermi mentre la difesa civile recuperava i corpi da sotto le macerie.L’hanno fatto per la loro gente, perché sono ribelli, protagonisti in primo piano della genuina rivoluzione siriana che il Mondo ha cercato di confondere: quella in nome dell’umanità e della libertà, contro l’oppressione. Non hanno mai smesso di alzarsi e di andare a fare le riprese, tra le rovine, anche quando la notte era stata accompagnata dalla minaccia degli aerei russi nel cielo e non avevano dormito. Anche se non c’era abbastanza acqua per sciacquarsi il viso la mattina. L’hanno fatto per la Siria. perché erano lì e quello sapevano fare. Però, diamine, sono ragazzi. Professionisti cresciuti troppo in fretta, ventenni che – come tutti i ventenni del mondo – vorrebbero poter raccogliere i frutti dei loro sforzi. E godere di nuove sensazioni. Piacevoli.
Possono solo osservare il proprio sogno scorrere senza di loro, sui social media. La sorte, per Fadi Halalabi e Hasan Kattan, non è diversa da quella di tanti altri che hanno trovato rifugio in Turchia: non possono muoversi fuori di lì. Se l’emergenza fosse quella di andare in un altro Paese del mondo per ricevere cure mediche specifiche e necessarie alla propria sopravvivenza, potrebbero non riuscirci. La storia di Bana Alabed, in America a promuovere il proprio libro, e quella di pochi altri giornalisti e medioattivisti noti, hanno il carattere dell’eccezionalità, non della norma. Così Hassan e Fadi, due settimane fa si sono sfogati su facebook. Qualcuno aveva cercato di aiutarli, forse li aveva illusi, ma loro sono ancora lì. Forse non sono abbastanza eccezionali, forse lo sono troppo.
https://www.facebook.com/hasan.abo.fisal/posts/1455739711218603?pnref=story
È molto frustrante per me osservare il mondo apprezzare i miei lavori e premiarli senza che io possa essere lì.
È davvero frustrante per me poter guardare le star e le celebrità con cui vorrei lavorare che mi fanno i complimenti per quello che ho fatto senza che io sia lì, scrutando solo attraverso i social media. E non sono lì solo perché sono un siriano.
Così scrive Hasan, menzionando l’amico fraterno. Non dev’essere facile. per quanto cerchino di tenere il sorriso sempre acceso, per quanto mi dicano, quando ci parlo per saperne di più: “siamo persone semplici“. Sono straordinari.
Fadi e Hassan hanno poco più di vent’anni, sono diventati grandi filmando rovine, soccorsi, feriti, morti, addormentadosi con la compagnia costante degli aerei in cielo a sorvolare minacciosi Aleppo. Se avete sentito parlare di Siria e visto qualche video da lì, probabilmente li conoscete anche voi, anche senza che abbiate guardato i documentari sui White Helmets.
Ricordate il massacro chimico di Khan Sheikkun, a Idlib? Le foto dei bambini agonizzanti? Dall’altra parte della telecamera c’era anche il giovane Fadi. Il suo servizio fu trasmesso anche dalla CNN.
Ricordate Aleppo? Ricordate quei video che ci lasciavano guardare dall’alto la città distrutta? A guidare il drone c’era il timido Hassan. Entrambi sono tra i fondatori dell’Aleppo Media Center. Entrambi hanno lavorato per le più importanti agenzie del mondo. Entrambi sono meravigliose perso e professionisti di valore. Entrambi sono confinati a vivere la gioia per l’apprezzamento del proprio lavoro attraverso uno schemo.
Diversa la sorte di Khaled Khatib, un altro reporter che ha collaborato alle riprese dei due documentari premiati, cugino di Fadi, segue da anni i White Helmets. Gli fu impedito di andare alla serata finale degli Oscar, in America, benché si fosse riusciti a fargli dare una Visa. Dopo qualcosa si mosse e gli fu possibile volare all’Estero per ritirare altri premi vinti con Last Men in Aleppo, altro documentario del gruppo, con la partecipazione di altri reporter come Thaer Mohammed.Khaled ha circa vent’anni e mi dice che in realtà non gli interessa presenziare agli eventi. Ho lavorato per aiutare la mia gente, mi ribadisce quando lo ricontatto su messenger, dopo mesi. “Quello per me è importante: far sapere quello che è successo da noi, quello che succede in Siria”. Non faccio fatica a credergli. La mattina in cui sapevo che sarebbe dovuto partire per gli States gli scrissi. Era all’ereoporto, aveva appena saputo che sarebbe rimasto lì. Qualcosa era accaduto, non sapeva bene come. ”Ma non importa, sia fatta la volontà di Dio“, mi disse. Poi vinse, insieme a Fadi, ad Hassan, al regista, ai produttori, agli altri membri dell’Aleppo Media Center coinvolti dal progetto.
Hasan ha lasciato la città ribelle sugli autobus verdi, consegnandola alla memoria eterna maestosa e in rovine, violentata dal cielo, straziata dalle bombe e dal terrore di Putin. Ricordate questi video dall’alto, col drone? Li ha fatti lui.
https://www.facebook.com/AleppoAMC/videos/306804499697259/
Di Fadì so che gira ancora in Siria con la sua telecamera. I confini con la Turchia sono chiusi dal 2014 mi dice. In occasione delle feste religiose è sovente consentito ai siriani di fare ritorno per un periodo limititato di tempo, per trovare i propri parenti. Poi devono tornare indietro. Salvo eccezioni, in altri periodi, chi voglia lasciare l’inferno della guerra, anzi, della guerra alla rivoluzione e alla resistenza, deve farlo con lo smuggling, affidandosi a contrabbandieri che ne hanno fatto occasione di business. E poi, arrivati in Purgatorio, ci si affida alla speranza, al miracolo, per chi ancora crede in Dio.