Da 2 giorni siamo nel 2018. Ripeterlo ad alta voce potrebbe essere un rincalzo efficace per chi all’ufficio postale fatica acnora a scrivere la data corretta, e confuso, cancella e riscrive. Meno efficace e sicuramente insufficiente, sarà recitare il medesimo mantra nell’orecchio di chi, come Patty Pravo -confusa dalla sindrome di Benjamin Button- augura a tutta Italia un buon 1918 (“che porti bene”).
Eppure anche chi è rimasto al secolo scorso, sa già che scavalcando i freddi gennaio e febbraio, ci si ritroverà davanti ad una domenica che sarà, in ogni caso molto calda.
Il 4 marzo è dietro l’angolo e ci aspetta, ma quello che dobbiamo chiederci è se noi lo stiamo aspettando.
L’aspettativa di un cambiamento è solita accompagnarsi da entusiasmo solo quando si ha la sensazione che qualcosa possa cambiare, ma la percezione (che non necessariamente coincide con la relatà dei fatti) è che il Paese sia fermo e che sia destinato a rimanerci per un tempo indefinito.
La sfiducia nel corpo politico tutto, è il tema degli ultimi anni. Un fattore serio e determinante che ha portato alla ribalta movimenti politici come i cinque stelle, che ha resuscitato e ridato nuova linfa a Lega e ai partiti di estrema destra. Questa sfiducia ha ragione di esistere ovviamente. Quando si viene traditi, non si può far altro che essere diffidenti. Per questo motivo, ogni elettore, bizzarra che possa essere la sua intenzione di voto, oggi va rispettato. Sono saltate troppe regole del gioco e nessuno può prendersela con chi spera ancora che un cambiamento sia possibile altrove, anche quando “altrove” sta per populismo, razzismo e buonismo.
Qualcuno duque starà aspettando con ansia questo 4 marzo. Fosse solo per solcare una x grande come una casa, su un simbolo di cui condivide più la rabbia e l’odio verso altri, piuttosto che i principi su cui quel partito si fonda.
Ma se si è arrivati a questo, se è l’odio a muovere i voti, se i vaffa day hanno generato un mostro politico, è perché in passato è mancato ciò che era necessario.
Non ci sono stati governi di potere che riuscissero ad arginare la corruzione, la mafia, e ad attuare politiche economiche efficaci. Non ci sono stati governi autorevoli, che potessero far sentire la propria voce a Bruxelles, ed imporla. Non ci sono state scelte, ma solo molti slogan. Da Berlusconi a Renzi, da “Questo è il paese che amo” a “Signori miei ecco gli 80 euro”. Dalle lacrime e sangue della Fornero a “ce lo chiede l’Europa”. Nessuno ha portato avanti una vera spending review dei Palazzi, nessuno è riuscito ad impedire che già ricchissimi imprenditori facessero ancora più soldi, inquinando intere città e ammalando intere famiglie. Nessuno ha ridotto la burocrazia permettendo a tanti giovani di crearsi un lavoro, nessuno ha semplificato la vita, nessuno ha avvicinato il cittadino allo Stato. Perciò ora inutile di pensare di essere ancora al secolo scorso. Siamo nel 2018 e il 4 marzo è molto vicino.