#TsurezuregusaGiappone: separazioni e bambini contesi, il caso di Gianluca Sarais

Ho deciso di dedicare questo primo post del 2018 dando voce alla richiesta di aiuto di un gruppo di padri italiani che vivono in Giappone i quali, dopo la separazione dalla moglie giapponese, e pur...

Ho deciso di dedicare questo primo post del 2018 dando voce alla richiesta di aiuto di un gruppo di padri italiani che vivono in Giappone i quali, dopo la separazione dalla moglie giapponese, e pur avendone il diritto, non riescono più a incontrare i propri figli. In Giappone, la questione della sottrazione di minori a un genitore al momento della separazione è un tema molto delicato e complesso, poco conosicuto all’estero. Nei prossimi mesi seguirò gli sviluppi della vicenda di Gianluca Sarais, italiano di 43 anni attualmente residente in Giappone e sposato con una ragazza giapponese la quale, dopo essere andata via di casa, non ha più permesso a Gianluca di vedere il loro piccolo, Leonardo Rui. Gianluca Sarais, infatti, nonostante ne abbia il diritto, non vede il figlio dal 5 settembre 2015, quando lo ha incontrato per cinquantacinque minuti in una struttura protetta insieme a dei volontari.

La storia di Gianluca Sarais che non vede il figlioletto italo-giapponese da oltre due anni. La battaglia legale per la separazione tra Gianluca Sarais e la moglie inizia circa tre anni fa e qui la riassumo per sommi capi. La moglie di Gianluca, dopo il parto del figlioletto Leonardo Rui, da Tokyo torna a vivere coi genitori in Hokkaido, nel nord del Giappone, terra di origine della famiglia. La madre aveva già vissuto due mesi a Tokyo con Gianluca e sua moglie, e il trasferimento viene giustificato dal fatto che sarà più facile per la suocera aiutare la figlia a casa, piuttosto che a Tokyo, nei primi tempi post-parto. Dopo un po’ di tempo trascorso in Hokkaido, la moglie decide di rimanere a vivere lì, di non tornare a Tokyo, sostenendo che quello è un ambiente più sano e adatto per la crescita del figlio. Per stare vicino alla famiglia anche Gianluca lascia dunque Tokyo, casa e lavoro, e si trasferisce a vivere in Hokkaido. Qui trova un nuovo lavoro e mette su casa per accogliere la moglie e il figlio. Compra pure una macchina semi-nuova, quella che voleva la moglie. Qualche giorno prima del trasferimento della moglie nella loro nuova casa, la signora chiede però il divorzio e, sempre secondo quanto racconta Gianluca, gli proibisce di vedere il figlio pronunciando queste parole: “tornatene in Italia e dimentica noi due”. A Gianluca crolla il mondo addosso. Inizia così una lunga battaglia legale che si sviluppa su tre piani: quella per il diritto del figlio a poter rivedere Gianluca, quella per l’affidamento del figlio e quella per la separazione. Il figlio, infatti, porta il cognome Sarais, dato che per scelta la coppia aveva deciso di prendere il cognome di Gianluca, compresa la moglie. In Giappone di solito questo non succede e i figli di coppie miste prendono, generalmente, il cognome del coniuge giapponese. Col divorzio però la moglie potrà cambiare il proprio cognome, tornare a quello da nubile e dare il suo anche al figlio. In questo modo Gianluca perderà tutti i diritti sul figlio. Infatti, in base alle leggi giapponesi al momento della separazione di due coniugi, non vige il diritto dell’affido congiunto o condiviso, e la patria potestà rimane a solo uno dei due che, volendo, può fare richiesta di cambio del cognome del figlio. Ad oggi Gianluca non conosce l’indirizzo della moglie e del figlio sebbene questo sia iscritto all’AIRE.

Nonostante le battaglie legali siano ancora in corso, il procedimento è ormai in stato avanzato. Di fatto però, sebbene fino ad oggi Gianluca abbia vinto tutti i gradi di giudizio e sia stato prosciolto da tutte le accuse mosse dalla moglie nei suoi confronti, non può esercitare il diritto di vedere il figlio. “Per quanto riguarda le visite a mio figlio” spiega Gianluca “sia nella sentenza dell’arbitrato che in quella seguente di processo vero e proprio, il giudice ha disposto che vedessi mio figlio una volta al mese per un’ora. In Giappone questa è la prassi ma mia moglie mi ha negato questo diritto, così io l’ho denunciata. Siamo in Giappone e dobbiamo accettarne le leggi ma certo non possiamo non notare come questo sia umanamente ingiusto! Questa è una prassi giudiziaria che va contro, di fatto, al sacrosanto diritto dei bambini di poter vedere i loro genitori senza limitazioni. I genitori che rimangono tali a livello umano in ogni caso. Mia moglie è arrivata a negarmi addirittura questa singola ora mensile, nonostante due sentenze di tribunale, per questo ho aperto un nuovo procedimento giudiziario affinché il tribunale le ordini di rispettare la sentenza” si sfoga Gianluca. Dopo le cause ordinarie la questione è passata nelle mani dell’Alta Corte di Sapporo che, il 22 dicembre ha confermato la sentenza precedente e il diritto del figlio a rivedere Gianluca. A seguito di questa sentenza la moglie di Gianluca ha fatto appello alla Corte Suprema di Tokyo, la cui sentenza, quando arriverà, sarà inappellabile. “Aver vinto all’Alta Corte di Sapporo è stata una doppia vittoria per me” spiega Gianluca “perché la Corte ha accusato mia moglie di abbandono del tetto coniugale e ha riconosciuto il diritto alle visite una volta al mese. Mia moglie, insomma, avrebbe l’obbligo di farmi vedere mio figlio, ma ancora oggi così non è”. Infatti, secondo quanto racconta Sarais, nonostante la sentenza anche in sede processuale la moglie si è opposta verbalmente al giudice ed ha dichiarato di non aver alcuna intenzione di far vedere il figlio a Gianluca perché il bambino non ha alcun bisogno del padre, sostenendo che Gianluca non è necessario per la felicità del figlio e per la sua crescita. Così, sebbene il giudizio dell’Alta Corte sia a favore di Gianluca, la signora ha fatto ricorso a un’altra corte, la Corte Suprema di Tokyo, attivando un nuovo processo e bloccando, di fatto, la possibilità per il figlio e Gianluca di incontrarsi. “E’ l’ultimo appello che può fare” spiega Gianluca. Il punto adesso però è strategico, perché se la signora riuscirà a superare i tre anni di separazione, otterrà una nuova causa in più per il divorzio, e così facendo cadranno per Gianluca tutte le possibilità di avere diritti sul figlio. Si attiverà, insomma, una sorta di “prescrizione” del diritto di paternità. Gianluca conferma di stare adempiendo a tutti i suoi doveri di padre e che versa mensilmente e in modo regolare, l’assegno di mantenimento al figlio. “Mio figlio, quando sarà grande, dovrà sapere che ho fatto tutto quello che potevo per lui”, spiega Gianluca.

La legge giapponese e gli accordi internazionali: la parola all’esperto Giorgio Fabio Colombo, avvocato del Foro di Milano e professore associato di diritto comparato presso l’Università di Nagoya.

Avvocato, come è possibile che nonostante le sentenze passate in giudicato che danno ragione a Gianluca Sarais, di fatto non gli sia permesso, in modo arbitrario, di vedere il figlio? È noto il fatto che il rispetto delle decisioni in materia di diritto di famiglia in Giappone è largamente affidato a un adempimento spontaneo, in mancanza del quale gli strumenti per ottenere un’esecuzione forzata sono ben pochi e per di più usati con reticenza da parte delle autorità giapponesi. Non avendo però letto gli atti processuali non sono del tutto certo dei motivi precisi.

Come si comporta la legge giapponese in caso di separazione con figli? Sappiamo che la legislazione giapponese è diversa dalla nostra e che nel caso dei minori prevale il “principio della continuità”. Ce lo può spiegare? Il Giappone rappresenta una peculiarità nel panorama internazionale: è, infatti, uno dei pochi paesi che, in caso di divorzio, prevede l’affido esclusivo dei figli minori a un solo genitore (statisticamente parlando, quasi sempre la madre). Questo si pone in controtendenza con il resto del mondo, dove l’affido condiviso è considerato il modo migliore per assicurare il “miglior interesse del minore”. Sebbene anche il diritto giapponese ponga il “miglior interesse del minore” come valore da tutelare, l’interpretazione dei tribunali giapponesi è nel senso di assicurare la stabilità della vita quotidiana, il cosiddetto “principio della continuità”: il fatto di doversi spostare dalla casa di un genitore a quella dell’altro, o anche solo quello di ricevere frequenti visite da parte del genitore non affidatario viene visto come un elemento di perturbazione.

Il Giappone nel 2014 ha firmato la Convenzione dell’Aja che regola la tutela dei figli minori di 16 anni. Che effetto ha questa ratificazione in situazioni come quelle della sottrazione di minori a uno dei genitori? Sebbene il Giappone abbia – finalmente – sottoscritto la Convenzione dell’Aja sugli effetti civili della sottrazione internazionale di minori, purtroppo questo strumento non è utilizzabile nei casi come quello del Sig. Sarais. Questo perché uno dei presupposti per l’applicazione della Convenzione è appunto una sottrazione “internazionale”, ossia lo spostamento del minore – contro la volontà di un genitore – da un paese a un altro. In questo caso, sebbene sia avvenuta una sottrazione, essa è meramente interna al Giappone, e dunque i rimedi a disposizione sono quelli, poco efficaci, offerti dal diritto giapponese.

Si può parlare, a livello internazionale, di violazione dei diritti umani dei minori? È un tema molto dibattuto e complesso. Di certo il Giappone è costante oggetto di fondate critiche da parte della comunità internazionale e da parte delle organizzazioni internazionali preposte alla tutela dei minori appunto per il suo anomalo diritto di famiglia, e per la disinvoltura con cui accetta situazioni di irregolarità in materia famigliare. Il fatto che un figlio perda di fatto ogni contatto con un genitore a seguito di divorzio rappresenta una situazione traumatica e indesiderabile, a cui il diritto dovrebbe porre rimedio.

Che cosa si può fare, dunque, affinché questi padri possano godere del diritto di vedere i figli e i figli quello di avere un padre? Sebbene gli strumenti legali a disposizione siano pochi e spesso inefficaci, la strada dei tribunali è al momento l’unica possibile. Qualora a seguito di una separazione giudiziale i figli siano affidati al padre, la madre non potrebbe opporre la resistenza che è in grado di porre in essere nelle pendenze del processo, o anche nella situazione di fatto in cui i genitori sono fisicamente separati ma non hanno intrapreso le procedure per il divorzio. Inoltre, la pressione delle istituzioni internazionali ha già portato ad alcuni importanti risultati (ad esempio la ratifica della Convenzione dell’Aja, attesa da decenni). La speranza è che il diritto giapponese si allinei il prima possibile agli standard internazionali.

La posizione delle nostre Istituzioni: L’Ambasciata d’Italia a Tokyo, che da diversi anni segue e assiste i connazionali che hanno difficoltà riguardo al diritto di famiglia in Giappone, si è fatta promotrice di una iniziativa in sede di coordinamento UE, interpellando gli Ambasciatori degli Stati Membri che hanno cittadini con problemi di diritto di famiglia in Giappone. Gli Ambasciatori dei Paesi UE hanno espresso totale comprensione per l’iniziativa italiana e si è concordato sulla necessità di preparare e appena possibile effettuare, in coordinamento con la Presidenza di turno della Bulgaria e con la Delegazione UE, un’azione congiunta di sensibilizzazione presso le competenti autorità giapponesi, con l’obiettivo di ottenere l’esecuzione delle sentenze. L’Ambasciatore d’Italia a Tokyo, Giorgio Starace, segue la questione personalmente e proprio di recente da ricevuto alcuni genitori residenti a Tokyo per comprendere meglio la loro situazione e gli stadi di avanzamento a livello giuridico. L’Ambasciata è, infatti, a conoscenza del fatto che alcuni di questi casi sono giunti all’ultimo grado di giudizio e alcune sentenze su affidamento o diritto di visita non sono state applicate, a causa dell’opposizione della controparte. Per questo motivo la questione è stata sollevata in più occasioni di contatto politico anche a livello bilaterale tra rappresentanti del Governo italiano e giapponese.

La situazione dei padri italiani separati, in Giappone. Sono almeno sette i nostri connazionali che attualmente vivono una situazione simile a quella di Gianluca, per un totale di nove bambini coinvolti. Per cercare di sbloccare la situazione si sono riuniti e stanno cercando di fare fronte comune. “Stiamo cercando di fare il possibile perché si sappia in Italia e all’estero quale è la condizione di noi padri separati qui in Giappone e dei nostri figli, anch’essi cittadini italiani a cui non è nemmeno concessa la facoltà di mantenere il rapporto con la nostra lingua e cultura, parte essenziale della loro identità. L’associazione Kizuna (ndr. NPO Kizuna Child-Parent Reunion) ha fatto molto sul fronte USA, perché i genitori di nazionalità americana sono il maggior numero, ma al tempo stesso ci ha permesso di conoscerci e di unire le forze. Nel nostro piccolo abbiamo interpellato il Ministero degli Esteri tramite l’Ambasciata d’Italia a Tokyo, abbiamo scritto al Presidente della Repubblica ed a diversi politici, e contattato molti giornalisti per sensibilizzare la stampa italiana su questo problema finora sconosciuto in Italia. Dall’Italia abbiamo riscontrato molta solidarietà, e cogliamo l’occasione per ringraziare il personale dell’Ambasciata e della Farnesina che è sempre gentilmente a nostra disposizione per qualsiasi aggiornamento. Purtroppo, invece, in Giappone ci siamo rivolti ad organi di Polizia, Servizi Sociali, politici e ad ogni tipo di associazione umanitaria, ma sebbene siano tutti consapevoli del problema, l’unico che ha provato ad aiutarci è stato il Deputato Kenta Matsunami, che ha trattato il tema direttamente con le più alte cariche del Giappone, senza però ottenere alcuna risposta mirata a risolvere il problema”. Tra le maggiori testate italiane che si sono occupate del tema dei minori sottratti, troviamo La Stampa, il Corriere della Sera e Sky TG24, grazie al collegamento da Tokyo del corrispondente Pio d’Emilia.

Dati sui minori sottratti a un genitore in Giappone. Secondo quanto riportato dalla NPO Kizuna Child-Parent Reunion che si batte per i diritti dei minori e dei loro genitori separati, sono circa 3 milioni i bambini che, negli ultimi venti anni non hanno avuto più la possibilità di incontrare uno dei due genitori a causa della decisione unilaterale del genitore che ha portato via il figlio. Parallelamente sono circa 3 milioni gli adulti, genitori, a cui viene negata unilateralmente la possibilità di incontrare il proprio figlio. In totale, ad oggi, tra bambini e genitori, ci sono dunque circa 6 milioni di persone a cui è negato il diritto/dovere di esercitare la patria potestà e il diritto di godere del supporto di entrambi i genitori in vita. Inoltre, secondo quanto riportato in un articolo del 27 novembre 2014 pubblicato nel sito del deputato della Dieta Okiharu Yausoka, ogni anno sono circa 150mila i bambini a cui viene negata la possibilità di vedere il proprio genitore separato. Yausoka è stato due volte Ministro della Giustizia del governo giapponese ed è Presidente del comitato di 親子 断絶 防止 法 (Oyako danzetsu bōshi-hō – Legge sulla prevenzione della discontinuità genitoriale e infantile). Il problema dei bambini sottratti a un genitore affligge principalmente i padri, siano essi giapponesi che stranieri. In Giappone l’85% dei padri perde la custodia al momento del divorzio, e più della metà dei padri divorziati perde ogni forma di contatto con i figli. Parliamo di più di 135.000 padri ogni anno (dati NPO Kizuna Child-Parent Reunion). Gianluca conclude: “all’inizio avevo timore di essere penalizzato per il fatto di essere straniero ma non è stato così. Durante questi anni di battaglia ho conosciuto tanti padri, anche giapponesi, nella mia stessa situazione”. In questo video del 2013, il Dott. Yasuyuki Watanabe, funzionario del Ministero degli Interni, espone la propria situazione personale di padre a cui è stata sottratta la figlia. Dal 2013 ad oggi, poco o nulla è cambiato.

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