SkypeEuropa#VersoLeElezioni: Tanti scontrini, poca politca a 5 Stelle

Tra i tanti slogan ripetuti dal Movimento 5 Stelle negli ultimi cinque anni ve ne è uno che mi colpisce ogni volta che lo sento per come viene usato: “Noi non ci alleiamo con nessuno”. Uno slogan...

Tra i tanti slogan ripetuti dal Movimento 5 Stelle negli ultimi cinque anni ve ne è uno che mi colpisce ogni volta che lo sento per come viene usato: “Noi non ci alleiamo con nessuno”.
Uno slogan che sottintende due fronti: Noi, i puri, i buoni, gli onesti. Voi, gli impuri, i disonesti e gli arraffoni con i quali è impossibile allearsi. Come se tutte le persone che fanno politica, dal Pd alla Lega, da Forza Italia a Liberi e Uguali, da Potere al Popolo a Forza Nuova, fossero lì solo per arraffare qualcosa a scapito degli onesti cittadini. Uno spirito che in altre stagioni politiche sarebbe stato bollato come folle, perché di persone brave, oneste e che mettono a disposizione il proprio tempo per cause in cui credono ve ne sono in tutti i partiti.

E questo Noi contro Voi, ormai insito in taluni italiani, altro non è che l’essenza di quello che chiamiamo populismo. Noi i buoni, voi i cattivi. Come se decenni di problemi complessissimi, dalla questione meridionale all’alto livello di tassazione, dal debito pubblico fino a scontri politici, governi e primi ministri caduti su questa o quella scelta politica fossero semplici banalità. E come se una classe politica (non certo idilliaca!) indistintamente dal Partito di appartenenza, fosse un incrocio tra la più oscura massoneria e la banda dei 40 ladroni. Per rendersene conto basta sentire uno dei tanti show del bravissimo comico genovese che girano in rete.

Eppure sono passati cinque anni da quando 163 tra deputati e senatori sono stati eletti in parlamento urlando al cambiamento e alla guerra contro i partiti che fino a pochi mesi prima avevano loro stessi votato. Cinque anni in cui i deputati del Movimento 5 Stelle hanno percepito ogni mese lo stipendio, che al di là delle auto decurtazioni (lodevoli ma che anche altri deputati fanno) costituiscono ottimi salari confrontati a quelli della maggioranza degli italiani. E per fare cosa? Per quale ragione hanno percepito un lauto stipendio di 60 mensilità? Ovviamente per parlare, discutere, proporre e scontrarsi su una miriade di complesse questioni, nell’interesse dei cittadini italiani. Anche di coloro che non li hanno votati (il 75%) poiché da tutti vengono pagati.

Cinque anni di stipendi dicevo in cui sono emerse delle figure politiche e oratorie interessanti: Di Battista, Fico, Orellana (che poi ha lasciato il Movimento 5 Stelle per dissidi politici) e altri di cui non ricordo il nome. Altri, probabilmente di valore politico inferiore sono passati inosservati se non addirittura catalogati dai giornalisti come peones che hanno partecipato ai lavori delle Commissioni Parlamentari votando quello che i vertici del M5S indicavano di votare.

A 80 giorni dalle elezioni però è giunto il momento di chiedersi cosa sarebbe successo se invece di puntare sul “Noi non ci alleiamo con nessuno” i deputati 5 Stelle avessero detto “ok, parliamone!”
Me lo chiedo in particolare oggi alla luce dell’accordo politico che in Germania vede protagonisti i cristianodemocratici e i socialdemocratici, storici rivali. Mi chiedo cosa sarebbe successo in questi cinque anni di stipendi se il Movimento 5 Stelle avesse avanzato e trovato un accordo su 10-15-20 punti di programma con altre forze politiche su cui iniziare una stagione politica di riforme. Obiettivo: fare il massimo negli interessi dei cittadini, ben sapendo che tra i 60 milioni di italiani vi sono idee e valori spesso molto differenti, e che rendono certe questioni, in certi periodi di non facile soluzione. In sostanza mi chiedo cosa sarebbe successo se avessero deciso di fare politica.

Perché cinque anni di vita sono passati (e ripasseranno!) per tutti gli italiani, non solo per i parlamentari di questo movimento. Furbescamente, o da buon pulcinella, il suo leader Luigi Di Maio va un giorno dicendo e un giorno smentendo che stavolta se dovessero arrivare primi faranno un governo con chi ci sta. Frase imbarazzante e vaga per chi fa politica, poiché fare un governo con Liberi e Uguali, con il Partito Democratico o farlo con la Lega comporta politiche un tantino differenti. Solo un pizzichino e se fossi un suo elettore vorrei sapere con chi ci si alleerebbe. Ma tanto c’è tempo… il paese non ha fretta di saperlo, l’importante è ribadire “Noi non ci alleiamo con nessuno”.

Intendiamoci, è legittimo scegliere di non far alleanze ma è altrettanto legittimo pensare che ad elezioni svolte se nessuno dovesse ottenere una maggioranza assoluta per governare sarebbe giusto, e responsabile, provare a trovare un accordo, proprio perché si è stati eletti e si è pagati per fare questo. Aggiungo che lo era di più nel 2013, viste le condizioni finanziarie ed economiche disperate, quando il paese viveva una crisi di fiducia, quando i tre successivi governi Letta, Renzi e Gentiloni non avevano ancora spinto la Merkel sulla strada della flessibilità dei parametri di Maastricht e quando Mario Draghi non aveva iniziato a immettere 60 miliardi di euro al mese (60!!!) contro il parere della parte più conservatrice del governo tedesco, terrorizzato di doversi trovare un giorno a pagare i debiti altrui.

In queste ore gli italiani scoprono cosa significhi realmente fare politica. Che non sarà il massimo desiderato, non sarà il sogno utopico (guai a non averne!) ma l’accordo per il bene e nell’interesse dei cittadini. E lo scoprono guardando al di là delle Alpi, proprio in Germania, dove la classe politica, non entusiasmante a sentire i tedeschi, a costo di perdere consensi per un accordo si assume la responsabilità di governare. D’altronde la fine delle ideologie questo ha prodotto, nel bene e nel male. E oggi, dopo quattro mesi chiusi in una stanza a discutere punto per punto cosa si può fare insieme e cosa no, nell’interesse e per l’interesse dei cittadini tedeschi ha prodotto un nuovo accordo tra SPD e CDU/CSU.

Tra i punti essenziali (robetta!) un milione e mezzo di case popolari, aumento delle pensioni, monitoraggio costante del debito pubblico, appoggio alla nascita della figura di Ministro delle Finanze Europeo come sostenuto dagli europeisti italiani e dal presidente francese Macron.

Si chiama politica.

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