Facebook ha pubblicato nella sua sezione Help un decalogo di suggerimenti per individuare le fake news, e quindi, suppone l’ottimista estensore del testo, evitare di caderci dentro. Questo decalogo è il perfetto esempio di un contenuto autoescludente: non serve a chi lo legge e non viene letto da chi potrebbe trarne giovamento. Il motivo?
I suggerimenti del decalogo sono tutti corretti, sia logicamente che nella terminologia: si parla di titolazione eccessiva, di URL con leggeri cambiamenti, di formattazione dei contenuti, di de-contestualizzazione delle immagini, del controllo delle fonti, delle date, e infine dell’importanza del senso critico. In parole povere, è una dotta lezioncina che stanca chi non ha sufficiente alfabetizzazione e annoia chi, avendola, applica già questi criteri.
Il social network, aderendo all’iniziativa di “contrasto alla disinformazione online” promossa dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (leggi: un’aberrazione inferiore soltanto al modulo anti fake di Minniti e Cnaipic) aderisce anche alla premessa distorta di chi insiste a credere che la manipolazione dell’opinione pubblica sia tutta dentro la Rete e che lì si trovi, in due click, la soluzione. In barba a ogni conoscenza, acquisita da tempo, sulla dinamica dei pregiudizi di conferma e sulla natura profondamente sociale dell’adesione a contenuti palesemente falsificati e contaminati, il decalogo è scritto come se si trattasse di mettere un cartello “attenti ai dossi”. La gente li eviterà, tutti contenti.
Un approccio tragicamente sbagliato e che produce cose che non servono a nulla: il livello di alfabetizzazione necessario per comprendere queste istruzioni esclude di per sé che voi siate vittime di ciò da cui il testo intende mettervi in guardia se riuscite a leggerlo. Un po’ come questo articolo: se l’avete letto fino in fondo, probabilmente avete già anche letto questo decalogo, sorridendone come ho fatto io.