In riferimento alla questione sul liceo classico romano “Ennio Quirino Visconti” e il documento di autovalutazione (Rav) prodotto e pubblicato sul sito della scuola, qualche esperto ha scritto che il comportamento del liceo farebbe parte de “I frutti avvelenati del marketing scolastico”. A mio parere nell’espressione si sono invertiti i fattori. Sarebbe più appropriato dire “Il marketing scolastico: il frutto avvelenato” virgola “la facciata della medio-alta borghesia”. Manca in queste prime righe la parola “popolo”, poi siamo definitivamente immersi nell’Ottocento, che facendo i conti sono più o meno due secoli fa.
Il frutto avvelenato infatti esiste da prima e la strategia di marketing attivata dalla scuola, ma non imposta o richiesta dal ministero, ha fatto involontariamente emergere uno status quo; detto con un po’ di spregiudicatezza, direi che ha fatto emergere una faccia ovvero la facciata della classe medio-alta borghese. Tanto si parla di “popolo”, come deve essere, in cosa manca, ma poco si parla di come la borghesia dovrebbe essere educata anch’essa.
Prendo spunto dal titolo di un articolo, dello studioso Alberto Baccini, recentemente apparso sulla rivista Il Mulino. Il titolo dell’articolo recita infatti “I frutti avvelenati del marketing scolastico”, suggerendo così al lettore che la spiegazione dell’atteggiamento e del comportamento del liceo di cui si parla vada ricercata tra le responsabilità di qualcun altro diverso dalla scuola, in primis la ministra attuale, ma lungi da me voler difenderla, e nelle politiche scolastiche orientate alla valutazione. Il comportamento della scuola sarebbe quindi conseguenza, “comprensibile” dice Baccini, del marketing che la scuola è costretta ad attivare come strategia per la sopravvivenza.
Mi riferisco all’intervento di Baccini perché fresco nel dibattito e perché mi fa arrabbiare ma anche mi spinge a riflettere e ad approfondire (forse perché mi fa arrabbiare, ma non è che ve ne potete approfittare).
La questione chiama in causa tante questioni, siamo d’accordo, difficili chiaramente da affrontare e approfondire in una stessa seduta, tanto meno in questa sede. Quindi probabilmente anche la mia rimarrà un’opinione tanto quella del professore. Ma quello che mi preme fare nel mio piccolo è di provare a non spostare così brutalmente l’attenzione dalla questione elitista ed elitaria alla colpa di quello o dell’altro. Spesso accadde questo, per come agiamo la dimensione politica oggi. E’ il nostro costume.
E quindi riprendo il discorso con l’intenzione di ri-sottolineare il cuore della questione emersa grazie al lavoro del giornalista Corrado Zunino pubblicato su Repubblica due settimane fa, quando rendeva noto all’opinione pubblica l’esistenza del Rapporto di Autovalutazione (Rav) delle scuole e la posizione del liceo classico Visconti di Roma sul tema dell’inclusione di ragazzi stranieri, disabili e svantaggiati.
Effettivamente, chi ha un minimo di conoscenza di questo documento e della procedura di valutazione delle scuole, può confermare che le frasi estrapolate dal Rav e riportate dalla stampa rispondono a espliciti quesiti posti da Invalsi (Miur) alle scuole. La ministra li ha stigmatizzati. Anche larga parte dell’opinione pubblica. Ci interessa la questione sociale o no?
Siamo d’accordo sul fatto che a domande-stimolo la scuola risponde “non poi così fuori dalle righe”. La scuola si descrive così com’è: “status socio-economico e culturale delle famiglie degli studenti medio-alto”, per quanto riguarda la popolazione studentesca “la percentuale di alunni svantaggiati per condizione familiare è pressoché inesistente”, “si riscontra un leggero incremento dei casi di Dsa”. Fin qui, pulito.
Ma poi inizia effettivamente il “guerrilla” marketing, prima più soft: “tutti, tranne un paio, gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile. La percentuale di alunni svantaggiati per condizione familiare è pressoché inesistente (…). Tutto ciò favorisce il processo di apprendimento, limitando gli interventi di inclusione a casi di DSA, trasferimento in entrata o all’insorgere di BES. “Tutto ciò” – e si intende l’assenza di stranieri, studenti svantaggiati e disabili – “favorisce il processo di apprendimento”. Chiaro? Onesto, direi.
Poi, più hard (peggio della pornografia, altro che il concetto di “marketing scolastico” che pur sempre fa impressione): “Negli anni sono stati iscritti figli di portieri e/o custodi di edifici del quartiere. Data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri o di custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi”. Scusate gente, sarà mica il portiere delle vostre ricche case? Dal ciabattino ci andate o preferite saltare dallo stile italiano casual minimal, quello che deve far sembrare di sinistra, a quello francese che vi fa sembrare eleganti, non so come, pure i pensieri? Gli “stili di vita molto diversi” sono un problema. Capisco. Un problemone.
Insomma, il vanto della scuola è il processo di apprendimento facilitato dall’omogeneità dell’utenza, mentre il “problema” la convivenza con i portinai.
Proprio perché gli stili di vita molto diversi sono un problema, e mica da ridere per la verità, non si può far passare nemmeno la minima giustificazione. Le correzioni al testo successivamente riportate dall’autore al pezzo pubblicato sul Mulino mi fanno sperare in bene. Non si poteva infatti condividere, nemmeno se ci fosse stato un filo di ironia nelle parole di Baccini, l’affermazione “è comprensibile”, “è comprensibile che nella foga di attrarre studenti” “qualche dirigente scolastico scrive che la scuola è frequentata da una clientela selezionata”. La colpa è della politica e la scuola si adegua, sembrava si stesse dicendo. La questione elitista va esplicitata, non bypassata o spostata in secondo piano. O siamo troppo bene educati? Oppure vogliamo dire, è normale, è così che vanno le cose, e la chiudiamo lì?
Anche al Rav le modifiche mi sembra siano già state apportate, il riferimento ai portinai è sparito, ma bisognerebbe vedere con che livello di consapevolezza e senso della collettività o quanto invece per gusto estetico. Ad ogni modo quel Rav qualche altra cosa interessante la dice, anche se forse meno accessibili al pubblico, e fa riflettere sul senso del lavoro di valutazione esterna delle scuole quando si tratta di essere sul campo.
Infatti, non è finita dove ha iniziato il giornalista Zunino. Scorrendo il documento escono altre cose “degne di nota”. Ma qui chiedo ai più esperti. Adesso la scuola dichiara anche: “nè vi è una particolare definizione del curricolo per la maggior parte delle discipline, dal momento che la scuola trova confacenti le indicazioni ministeriali”. A parte che quando è congiunzione negativa l’accento va messo acuto, ma io dico: le Indicazioni ministeriali vanno bene così? Non capisco. Vanno bene così perché c’è una perfetta corrispondenza culturale tra le due istituzioni, la scolastica super e quella ministeriale, o vanno bene così, tanto una scuola come questa fa un po’ come vuole, visto che, come scrive sempre lì nei dintorni, ha attivato però curricoli specifici fatti “così” e “così” e che “tutto ciò risponde grandemente alla domanda delle famiglie (…)”. “Grandemente”. Alla grande proprio. Fra l’altro spesso famiglie è scritto con la lettera iniziale maiuscola, ad indicare qual è la vera istituzione di riferimento della scuola (mentre “esperti” per esempio porta la lettera minuscola e il loro coinvolgimento appare come una normale routine).
Fosse per corrispondenza culturale o per menefreghismo certo è che loro i compiti, che il ministero assegna, li fanno bene. Sempre nel Rav “Da due anni a questa parte viene redatto all’inizio dell’anno e verificato alla fine, un Piano dell’Inclusione da parte di una Commissione all’uopo nominata, come previsto dalla norma vigente“. Inclusione di chi? La scuola stessa afferma che non sono praticamente presenti stranieri, né alunni svantaggiati, ma vi sono solo pochi casi di DSA anche se in aumento. Poi, “Come previsto dalla norma vigente”? La scuola si assegna 7, il massimo previsto nella rubrica di valutazione, mica come quelle scuole che sono piene di stranieri e “portinai” a cui mi tocca dare 4. Ed è questo che pone il problema pratico della compilazione del RVE (Rapporto di Valutazione Esterna) da parte dei componenti del Nucleo di Valutazione che avrebbe il compito di restituire dei feedback alla scuola sul suo operato e processo di autovalutazione. Ci sono poi quelle scuole in cui nonostante siano presenti queste problematiche, che sappiamo, non “favoriscono” il processo di apprendimento, ce la fanno a meritarsi 6 o anche 7, e ci sono perché le ho viste; ma che differenza c’è tra un 7 per aver adempiuto e un 7 per aver coltivato un interesse collettivo?
Ci sono infatti scuole che hanno una percentuale alta di stranieri o una percentuale alta di studenti con difficoltà cognitive e fisiche anche gravi. Di fronte a un ambiente più complesso un 4 non ha un valore comparabile a quel 7 autoassegnato dal liceo Visconti, come anche pur un 6 o un 7 quando la scuola pur con le difficoltà di gestione di un ambiente complesso riesce a “meritarseli”. In un caso la scuola ha adempiuto ad un compito, certo con grande cura amministrativa, nell’altro ha adempiuto ad un dovere sulla base di un valore.
C’è inoltre da notare che tutti i documenti di valutazione prodotti dalla scuola sono presenti sul sito, sono ben fatti, articolati, basati anche su un certo livello di analisi; i giudizi sono alti (certo, i compiti sono fatti bene…). Si dovessero assegnare i finanziamenti pubblici in base alla corrispondenza tra ciò che chiede di fare il Miur e ciò che fa la scuola non cambieremmo molto le cose che intendiamo migliorare. Ma per fortuna le cose – in questo caso – non sono così semplici. Professor Baccini mi dà una mano?
Le questioni sono quindi a mio parere, e c’è poco da concludere, almeno tre:
Prima questione: la scuola utilizza il Rav come strumento di marketing. Vero. Ma mica glielo ha detto il dottore. Mica glielo dice Invalsi. Questa scelta è una responsabilità che va attribuita prima di tutto alla scuola, non è un indicazione data dal Miur; fra l’altro una scuola che non so quanto abbia bisogno del marketing per farsi spazio, per emergere. Almeno che non mi si spieghi che è in corso un processo di decadenza che allora capisco tutto, pure le dichiarazioni nel Rav.
Seconda questione. Il Rav ha fatto “emergere” più che aver “costretto”, anche se effettivamente è un effetto non voluto. Dobbiamo dare atto del potenziale di serendipity insito in ogni nuovo percorso, e quindi anche in quello di autovalutazione e valutazione esterna delle scuole; quest’ultimo ha fatto infatti emergere quanto sia persistente la mentalità elitista, individualista. Come scrive infatti Corrado Zunino: quella scuola ha restituito il Rav “con la propria anima”, non c’è dubbio. Questo è un periodo magico, e sarà breve; presto le scuole impareranno la disciplina dello slalom pure da applicare al Rav. Fino ad ora nessuno aveva visto tranne le famiglie che dovevano vedere. Presto anche queste scuole impareranno oltre che a usare il marketing dove non sarebbe necessario anche una retorica più adatta a “rendere pubblico”, con la conseguenza inutile ai fini della valutazione di “renderlo” fino ad un certo punto.
Terza e più importante questione, quella che non è etico tralasciare. Banale, come sono banale: Rav non rav, la differenza la fanno gli uomini. La scuola è quella che è (dico il liceo di Roma perché è un esempio, o meglio un’evidenza) e ha dimostrato che l’élite ignora, quando invece ci sarebbe bisogno di quelle competenze e quella preparazione per tentare di migliorare le condizioni di vita di tutti i cittadini di una società. Romantico?
E ci sta che un gruppo di esponenti e candidati di Liberi e Uguali sia andato a contestare il loro atteggiamento classista, gli unici per loro “natura” che hanno una qualche possibilità di far mettere in discussione la medio-alta borghesia.
Quindi sono d’accordo: “non va tolta rilevanza a una vicenda che dovrebbe invece interessare a tutti coloro che hanno a cuore il destino della scuola pubblica di questo Paese” e del Paese, anche a quei giovani ragazzi che purtroppo al liceo si sono dovuti difendere e in cui io credo.