Londra, mattino di febbraio. Freddo alle ossa, dopo aver portato le bimbe a scuola, in un cielo azzurro, glaciale e terso. Si vede la Francia, forse, dalla cima di qualche palazzo di Canary Wharf che balucina all’orizzonte da sopra la collina di Wimbledon. Il sole ha già cambiato posizione e disposizione verso questa parte del mondo. E’ quell’ultimo freddo atroce prima del risveglio primaverile.
Ad un tratto, comincia a nevicare, con una luce dorata che taglia e rifrange un colore dionisiaco, per quei milioni di prismi di ghiaccio trafitti da raggi gamma, delta, iota. You know what I mean. ‘Piove e c’è il sole’. Ed i pappagalli australiani, verdi e gialli, un centinaio, che attraversano lo spazio fra gli alberi e le case con un baccano di strilli. Io, con il mio cappello di lana, il sorriso delle mattine di quando porto le due promesse di futuro a scuola, fermo nella strada. I pappagalli girano, in tondo, scendono, fra i fiocchi di neve. Un vicino si affaccia e sorride a quello spettacolo da copertina di disco prog. O quella di Van Morrison, di Snow in San Anselmo.
https://www.youtube.com/watch?v=lpcsThJEgWM
I pappagalli verdi e gialli si chiamano parakeet e sono originari dell’Australia. La leggenda vuole che una coppia, qualche decennio fa, scappo’ da una gabbia di uno zoo. Una coppia. E, da quel giorno, sono diventati centinaia in tutta Londra, ma soprattutto nei quartieri ombreggiati e sereni attorno alla zona 2. Non sono urbani come le volpi o i falchi della City. Ma sono tanti. Immigrati in qualche maniera irregolari, ma ora perfetti nella narrazione di una Londra aperta, senza nessuna paura di mescolare, creare, rendere nuovo. Vero. Primaverile. Il mondo.
Entro in casa, scruto le notizie alla televisione, mentre, con una qualche forma di leggera pigrizia, mi preparo a lavorare. Cavi da connettere, password, fogli da leggere, i gatti che chiedono di poter andar fuori a rincorrere un pettirosso obeso. E le mie notizie le faccio arrivare, spesso, da canali arabi, cinesi, asiatici, mondi nuovi, diversi, con una visione del mondo diversa, laterale rispetto alla mia geografia. Vedo il canale cinese e penso ai porti asiatici pieni di merci che ho visto. Mondi futuri sempre meno inquietanti, sempre piu’ umani. Proprio nel momento della storia umana in cui potremmo essere resi obsoleti o liberi dall’avvento di macchine e computer, osservo affascinato un giornalista indiano che mi racconta di Trump, un anchorman tedesco che indica un punto in cui qualche cosa è successo a Taiwan. Il parakeet dentro me vola fra le notizie, gli eventi, legge i piani di lettura e si chiede: ma se tutto avesse un senso perché’ niente sembra averne uno? La realtà moderna è quella parola ripetuta migliaia di volte da bambino fino a quando diventa un mantra, un qualcosa che non ha senso ma che ti fa intonare con il resto dell’universo. Lingue, accenti diversi, colori degli occhi magnetici come quelli verdissimi di una giornalista indiana, o la sciarpa sui capelli di un’eleganza spuria di una scrittrice indonesiana intervistata da una televisione giapponese.
Nel calderone, ci sono anche io, immagino, nelle mattine che sono notti altrove, nei vesperi che sono ore prime, mattutini, in altre case, in altre strade. Giro velocemente fra i canali e vedo Macerata, le sue strade, polizia in strada, persone che parlano concitate di qualcuno che ha sparato a persone innocenti. Politici in grisaglie, offesi, offendenti, e il giornalista che racconta di razzismo, di intolleranza, di come sia difficile essere altri in Italia, di una campagna elettorale dai toni accesi, incendiari. Ignoranti e ignorabili, se solo non fosse casa, se solo non fosse quell’Italia delle città di provincia, dei laboratori, degli studenti con le sciarpe pesanti che sognano Americhe a portata di mano o di volo. Quell’Italia che, dall’alto, sembra sempre perfetta, ben sapendo che i cancri peggiori sono quelli che si annidano dentro, sotto pelle, quelle malattie silenziose che esplodono all’improvviso.
Qualcuno ha sparato ai parakeet, penso. Qualcuno ha convinto qualcun’altro a sparare ai pappagalli, agli animali nuovi che abitano e ripopoleranno i nostri borghi, le nostre città. Come hanno fatto, gli altri da oltremare, per millenni, decine di millenni. Siamo quel calderone, siamo quelle differenze che diventano abitudini nuove. Siamo tutti transitori, uomini primitivi che vagano, alcuni fra aeroporti, altri su barconi e jeep scarburate nel deserto. E siamo quel senso collettivo di sopravvivenza di identità umane. Identità culturali. E, questo dovremmo essere di + in Europa (;-)).
Siamo la storia a strati, tipo millefoglie del Gran Bar di Sesto (e qui apro un dibattito…lo so). E siamo il mescolare del DNA e delle parole scritte, delle pronunce e degli accenti che diventano monoliti autopoietici di futuro. Forget the aliens. La saggezza nasce da cambiare visione del mondo, senza cambiare i valori fondamentali di pietas, accoglienza, rispetto e sorpresa. Di fronte ai parakeet ed ai bambini somali che una volta ho visto giocare a carabinieri e ladri in un cortile di una suburra romana. Io, in attesa di un volo in ritardo, vicino a Fiumicino, loro in attesa di futuri decenti e dignitosi. Fra il mare e ovunque.
Macerata, gli odi televisivi, le parole grosse e, da un lato, il paese dell’odio, delle mammane, delle nebbie che nascondono la ragione, il paese del piccolo cabotaggio e della furbizia, dall’altro un paese surreale, ma ancora immaginabile, di tolleranza e di speranza diffusa. Immaginabilissimo, come quello che vediamo noi, Italiani all’estero, quando troviamo lavoro, mettiamo su casa, conosciamo persone, una in particolare, con la quale facciamo figli. In paesi dove impariamo la disciplina delle cose, delle code, delle regole, della convivenza. Dove sediamo sui mezzi pubblici senza preoccuparsi di inscatolarci dentro macchine monouso, dove si pagano le tasse e questo ci rende paradossalmente più ricchi. Perché’ se i dentisti e i maestri li paghiamo tutti assieme, ci costeranno sempre meno che farlo da soli. Perché’ gli altri assieme a noi controlleranno che la qualità del servizio sia adeguata.
Allora, altro che +Europa e basta, ci vuole +Mondo, +Civilizzazione, e +Educazione nel paese. I pappagalli australiani di Londra sono quel segno, di un mondo che si apre a prospettive nuove, laddove non si sarebbero mai immaginate. Di una convivenza fra persone che diventa nuovi orizzonti, scenari, visioni. Di un luogo dove sia possibile concepirsi cittadini e non supplici, clienti. In quel coacervo di identita’ dove si possa lasciare trasparire, affiorare quella cosa semplice ed unica che abbiamo imparato in migliaia di anni di storia Europea, che ci siamo conquistati anche al costo di guerre, devastazioni (perché’ spesso funziona così, ci vuole il travaglio ogni volta qualcosa di importante e bello accade). E si chiama con qualcosa che comincia con Ri. Risveglio, Rinascita, Rivoluzione, Ritorno. Ad una forma originaria della nostra identità, di occupanti temporanei di uno spazio, di un tempo che non sono nostri. A parte il presente, a parte quell’istante in cui i parakeet volano e i figli dei migranti entrano a scuola.
SOUNDTRACK
John Foxx – In Europe After the Rain https://www.youtube.com/watch?v=pvTgLDq5CXA
Exploding Parakeet – Ignoramus https://www.youtube.com/watch?v=FhkvJbY3rLw