Strani giorniEssere maschi (ammesso che significhi qualcosa)

Riporto una mia riflessione personale, già condivisa sul mio profilo Facebook. In Italia abbiamo un problema – tra i tanti, convengo – che si chiama femminicidio: ogni sessanta ore, infatti, una do...

Riporto una mia riflessione personale, già condivisa sul mio profilo Facebook. In Italia abbiamo un problema – tra i tanti, convengo – che si chiama femminicidio: ogni sessanta ore, infatti, una donna viene uccisa dal marito, dal compagno, da un uomo che pensa di poter disporre della sua vita. Contrariamente a tanti altri, per quella che è la sua intima natura, questo fenomeno è particolarmente tragico e non solo perché riguarda fatti di sangue, ma perché ciò che li determina è un modello culturale insostenibile: quello che si basa sull’asimmetria tra “maschile” e “femminile” e del dominio di un genere su un altro. Per tale ragione ho visto sulle bacheche di alcuni amici frasi come “chiedo scusa per essere maschio” o “mi vergogno di essere maschio”. Posizioni legittime, quando riguardano i propri vissuti. Io penso, tuttavia, che non si debbano produrre generalizzazioni. Provo a spiegarlo meglio, con le parole che seguono.

Credo che noi uomini dobbiamo interrogarci a lungo sulla condizione di privilegio che viviamo, in una società che si permette ancora di fare distinzioni (e discriminazioni) in base all’appartenenza al genere. Dovremmo chiederci se tale posizione non debba arretrare dalle sue roccaforti sociali, anche se mi rendo conto che è difficile. Ma è un percorso che va cominciato, tentato e portato avanti. In tal senso il femminismo ha molto da insegnarci.

Da uomo, da maschio gay, ho vissuto con molta fatica – e non senza dolore – la mia condizione di “fuori norma”, perché quello stesso sistema di potere al maschile (che andrebbe definito come “maschilista”) mi percepiva come un pericolo per l’ordine precostituito. Lì ho cominciato a scendere a patti, per poi liberarmi, con un’identità in bilico tra ciò che ero e ciò che mi era permesso essere. Scegliendo l’essere (me stesso). In tal senso, il pensiero Lgbt può insegnare tanto a chi, tra uomini e donne, vive un privilegio legato non tanto e non solo al genere di appartenenza, quanto all’orientamento sessuale dominante.

In questo quadro, ho elaborato una mia idea di “maschile”: essa non ha bisogno di distinguersi per negazione dell’altro da sé, per opposizione al “femminile”, pur riconoscendo specificità, differenze, esigenze anche profondamente diverse. Partendo da me, insomma, sto cercando di elaborare un processo che porti armonia tra i generi in un processo di coesistenza non dico “pacifica” – non c’è progresso senza conflitto, diceva Marx – bensì pacificata.

Per questa ragione, quando sento usare la parola “maschio” come insulto o come condizione naturalmente deviante (ricordo con affetto una “femminista” che mi disse che in quanto dotato dei cromosomi XY ero un potenziale stupratore e femminicida) un po’ mi arrabbio: e non perché non mi renda conto che in un contesto patriarcale, sessista e eteronormativo come il nostro, un certo “maschile” – che declina in maschilismo, appunto – vada decostruito e reinterpretato, ma perché non credo che esista un unico modo di essere “maschi”, ammesso poi che questo significhi davvero qualcosa.

Io ci provo, con tutti i miei limiti ovviamente: ed è una dimensione che prevede fragilità, curiosità, ironia, istinto, avventatezza, riflessione e tante altre cose che costituiscono la mia – e sottolineo mia – autenticità. Una dimensione che si interroga, si mette in discussione, riguadagna posizioni e che vive in un costante processo di ri-definizione.

Mi piacerebbe, insomma, un mondo in cui questa guerra tra sessi e questa separazione tra generi venissero superate dalla costruzione di un nuovo umanesimo in cui ci sono le persone con le loro autenticità, le loro peculiarità, il loro bisogno di ritrovarsi: persone di sesso maschile, femminile, persone non binarie. Insieme. In un percorso che dovrebbe vederci l’uno accanto all’altra.

Per questo non chiedo “scusa”, come vedo scritto qua e là in qualche bacheca, in questi giorni, per il mio “essere maschio”. Perché già in passato quello stesso sistema che ha provato a farmi fuori ha anche provato a piegarmi. E la costruzione della mia identità non è un’eredità lasciatami da un sistema che mi privilegia, acriticamente (per quanto esistano sacche di privilegio e me ne rendo conto perfettamente). È semmai quel sistema che deve chiedere scusa a me, oltre che alle innumerevoli vittime (tra uomini e donne) su cui ha costruito la sua fortuna.

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