“C’hanno paura, eh?! Quando vinceremo andremo a scoperchiare tutti quei segreti e a riprendere tutti i soldi che hanno rubato”. È quanto urlava pochi giorni fa un ragazzo lucano in un bar di Perugia. Il ragazzo, un elettore del Movimento 5 Stelle era infervorato e acceso come altre volte ho visto fare quando si parla con passione di politica. Pur non votando come lui e non condividendo ciò che pensa (ammesso che abbia capito le proposte dei 5 Stelle) sono contento che chi non si è mai interessato di politica (l’ha sottolineato più volte) senta qualcosa che altri prima di lui, negli anni e nei decenni hanno sentito dentro.
Un entusiasmo più che mai giustificato. Secondo i sondaggi il M5S farà grande incetta di voti nel Sud Italia, un buon risultato nel Centro e discreto al Nord, chiaramente limitato dalla nuova Lega. Per il Sud in particolare, si citano percentuali che ricordano quelle dell’amatissima (e sempre rimpianta) Democrazia Cristiana e quelle della folgorante armata guidata da Silvio Berlusconi nel 1994.
Eppure oggi, i nipoti e i figli di coloro che votarono quei partiti sembrano convinti e determinati ad un grande cambiamento, epocale. Una specie di voto puritano dato ad un partito che ha fatto dell’onestà e del “noi siamo diversi”, slogan che piace tanto ai propri guru Andrea Scanzi e Marco Travaglio, il suo cavallo di battaglia. Spesso etichettando tutto il restante mondo politico come corrotto, condannato o impresentabile. Un clima teso, da caccia alle streghe, figlio della crisi economica, al nord ormai superata, figlio del ritorno all’emigrazione a cui le nuove generazioni sono e saranno costrette, un po’ come lo era stato per quella dei nonni e degli zii. Ma questo a prescidere dalla vittoria o dalla sconfitta di Luigi Di Maio.
La realtà del Sud Italia oggi racconta la rabbia di un’area del paese che non riesce a mettere a leva le proprie risorse, impossibilitata ormai a sfruttare l’assistenzialismo pubblico che tra gli anni 70 e 90 le ha permesso, nel bene e nel male, nel clientelismo e non, di bloccare lo storico esodo da sud a nord. Un esodo che ha caratterizzato le regioni del mezzogiorno dall’Unità d’Italia. Uno sviluppo economico che non riesce a sfondare e di non facile soluzione, che nella seconda parte del 900 ha visto pure il fallimento di grandi piani di sviluppo, quali quelli finanziati dalla Cassa del Mezzogiorno istituita dal VI governo De Gasperi nel 1950, costata 279.763 miliardi di lire fino al 1992, anno della sua soppressione.
I 5 stelle però non sono né figli né nipoti di chi li ha preceduti. Sentono di essere nuovi e basta. Un nuovo che spaventa chi scrive non per la passione delle proprie idee, non per l’aggressiva arringa fatta al bancone di un bar, quanto per l’eterogeneità politica che li caratterizza, la vaghezza delle risposte date e la faciloneria con cui troppe volte si punta a risolvere problemi complessi. Come ad esempio quelli di un meridione arretrato, peraltro non unico in Europa visto che regioni come l’Andalusia, il nord dell’Inghilterra, il nordest della Francia e l’est della Germania vivono lo stesso dramma.
È per questo che mi spaventano. Tutto sembra facile nelle loro mani e tutti coloro che li hanno preceduti (salvo i martiri) sono stati disonesti politici. Pensiero che oggi accomuna i 5 stelle di sinistra e i 5 stelle di destra, due facce della stessa medaglia, che mi ricordano i giovani iraniani che cacciarono lo Scià. I primi nei panni di coloro che nel 1979 aderivano ai partiti comunisti, socialisti, repubblicani e nazionalisti. I secondi, coloro che si pensava non avrebbero mai potuto far niente, ingabbiati e controllati dagli altri, teorici di una rivoluzione islamica che nell’antica Persia non si sarebbe mai realizzata.
Oggi l’inesistente presa di posizione del Movimento 5 Stelle contro l’intolleranza dilagante nella rete (silente e spregiudicata solo per non perdere simpatizzanti radicali) costituisce l’ennesimo segnale poco chiaro.
L’impressione ripensando a quel ragazzo che parlava di cassetti da aprire e soldi da recuperare è che qualcuno invece che rimboccarsi le maniche si sia, volutamente o non, tralasciato lo studio e l’analisi di un paese, in una situazione mondiale complessa, con 157 anni di storia complessa e con aree del paese ancora più complesse, a cui dal 5 marzo qualcuno, senza complessarsi, dovrà pur pensare.