Matteo Renzi – almeno lui e i suoi dentro il Partito Democratico – declina l’invito di Luigi Di Maio a formare un possibile governo. Non sembri azzardato citare Oriana Fallaci ma ci servono due aggettivi che ben si adeguano allo stato d’animo dell’ex segretario dem, ovvero un perfetto mix di rabbia e orgoglio, sentimenti più che legittimi per una forza che ha dimezzato i consensi elettorali in anni complessi e che è uscita sconfitta dalle urne.
Sul taccuino della crisi va segnata la data del 29 aprile quando Renzi ci mette una bella e granitica pietra sepolcrale all’alleanza politica con i pentastellati dagli studi di “Che tempo che fa”:
siamo seri, chi ha perso le elezioni non può andare al governo. Non possiamo far passare il messaggio che il 4 marzo sia stato uno scherzo…
Da settimane il mondo di sinistra sgomita per scindersi anche su questo (il che ci dice quanto l’autodistruzione a sinistra sia un istinto ancestrale, sconfortante quanto oramai ineliminabile…) ma bisogna concedere all’ex premier l’onore elementare delle armi con tutto il suo portato di orgoglio di partito. E prima ancora di saziare gli appetiti governisti dei pentastellati, è sembrato giusto il digiuno di “scena”, scomparendo dalla tele-politik e magari riflettere sugli eventi. Si può discutere se l’abbia fatto sul serio ma da poche ore il Partito Democratico ha una sua linea ben argomentata.
Per certi versi – ci fosse stato Renzi o no – sembrava ovvia la chiusura all’accordo con il movimento 5 stelle per la semplice ragione che il partito di Grillo e Di Maio esiste per una sola mission ossia fagocitare come un buco nero le altre galassie politiche. Basta questo per comprendere quanto sia importante per Matteo Renzi uscire dall’orbita di Di Maio. Si attendono novità dai grillini ma i forni sembrano essere stati spenti. Vedremo
Accanto – quindi – all’orgoglio identitario, Renzi mette in campo un altro argomento partendo da un principio democratico che un illogico corto circuito politico-mediatico ha innescato annullando la categoria della “differenza”. Che sistema è quello che azzera le alternative, che trasforma idee e programmi a seconda delle convenienze? Che senso ha andare a votare una pluralità di opzioni ben precise se un minuto dopo esse diventano aria fritta traformando le distinzioni in un tutt’uno indistinguibile? In questo senso il Pd – almeno sulla traiettoria di Renzi – ha voluto ridefinire il concetto di responsabilità che tanti danni ha prodotto dal 2013 in poi costringendo il partito democratico a scelte “contra naturam” (vedi la passata legislatura…)
Se torniamo al al senso delle parole e al loro significato originario, respons-abilità sta per “abili al responso” cioè ritornare ad ascoltare le istanze dei cittadini e non solo cavalcare le paure e i rigurgiti di un paese spesso vittima e carnefice delle proprie contraddizioni. Responsabilità è sopratutto congruenza con la propria base, è essere identificabili e alternativi ai propri avversari politici; a loro – dice Renzi – va dato l’onere di spiegare agli italiani che abisso ci sta tra il desiderio del governare e il governare concretamente.
Si legge che questa presa di posizione non conviene al Pd: oggi sicuramente ma domani potrebbe premiare per coerenza. Certo, c’è la rabbia nei dem, con accenti a tratti scomposti e percepiti dagli osservatori come inusuali. Ma una piccola dose di grillismo nel Pd non guasta. Non sarà un vaffa a reti unificate ma – suvvia – lo si potrà concedere un diamine al Pd?