Strani giorniRenzi il populista

Mentre fervono i preparativi per avviare il nuovo esecutivo – e a scanso di equivoci: non appartengo a coloro che vedono con favore a questo esperimento lega-stellato – Matteo Renzi torna a parlare...

Mentre fervono i preparativi per avviare il nuovo esecutivo – e a scanso di equivoci: non appartengo a coloro che vedono con favore a questo esperimento lega-stellato – Matteo Renzi torna a parlare, attaccando il governo che verrà e i suoi protagonisti politici. L’ex premier promette «opposizione dura e rigorosa, ma civile». E fin qui, va benissimo. A parte il fatto che non dovrebbe essere lui a vestire i panni del leader del Pd, per i motivi che tutti e tutte sanno. Ma Renzi è come Pippo Baudo sul palco di Sanremo: il padrone assoluto. Che va bene se presenti il Festival della canzone italiana. Meno bene, invece, se vuoi fare politica in un paese democratico. Ma non è questo il punto.

C’è una frase, nella sua dichiarazione, che dovrebbe allarmare chi fino a ieri ha contestato un certo linguaggio e certi toni a Salvini e al M5S. Ed è la seguente: «Adesso loro diventano il potere, loro diventano l’establishment, loro diventano la casta». Conclude, quindi, con: «Non hanno più alibi, non hanno più scuse, non hanno più nessuno cui dare la colpa. È finito il tempo delle urla: tocca governare. Ne saranno capaci?» Sempre a scanso di equivoci, va benissimo inchiodare l’avversario sulle proprie responsabilità. Ma il discorso “anti-casta” è una stonatura di non poco conto, per il leader – presunto o reale – di un partito che vuole apparire affidabile sul piano istituzionale.

Nella frase incriminata, infatti, si procede per una pericolosa sovrapposizione: chi governa è “casta”. Chi ha responsabilità istituzionali è establishment. Ma tale termine, tradotto dall’inglese, significa (tra l’altro) “istituzione”. Generare tale slittamento semantico, per cui ciò che dovrebbe garantire lo svolgimento della vita politica della nazione – e quindi la democrazia – diviene qualcosa di cui diffidare, è procedimento tipico della narrazione populista. E il populismo, se la memoria non inganna, era il male assoluto da evitare. Cosa è successo nel frattempo? Il linguaggio e l’immaginario di quella che un tempo si chiamava “antipolitica” vanno male se utilizzati dalla parte avversa e invece sono elementi da rispolverare nel momento in cui si occupano i banchi dell’opposizione?

A voler alimentare questo fuoco, per cui chi sta nella stanza dei bottoni diventa inevitabilmente marcio, non aiuta certo a rafforzare il senso delle istituzioni – e quindi della democrazia – nel nostro Paese. Paese che, almeno dal ventennio berlusconiano in poi, ha qualche problema in merito. E non aiuterà a vincere, domani, un partito che viene visto come l’incarnazione della “casta” per eccellenza: il Pd, appunto. Renzi vuole essere complice del processo di disgregazione civile dell’Italia e dell’ennesimo disastro elettorare del suo partito? Perché, se non se ne fosse accorto, è proprio questo il vicolo cieco in cui si sta inoltrando.

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