Arriva un mystery di ascendenza british sulla scomparsa della Laura Palmer italiana firmato dall’autore di “Romanzo Criminale”
Una ragazza scomparsa e tutti i sospetti che fioccano. È la base su cui poggia tre quarti di serialità internazionale. Ma è la forma che le si conferisce a determinare la natura del prodotto. Le si può dare un taglio episodico come spesso fanno le tv generaliste, assegnando un criminale a ogni sputo di giallo che germoglia nell’episodio. Oppure ci si può soffermare sulla vittima, si possono scandagliare tutti i vissuti stipati nel segreto della notte e vivisezionare tutti gli aspetti drammatici della sua complessità, componendo un mosaico attanziale che solo nel finale trova tutti i pezzi. È quanto si propone di fare Leonardo Valenti, storico autore del cult “Romanzo Criminale”, nonché autore di “RIS – Delitti Imperfetti”, “Distretto di Polizia” e “Il Clan dei Camorristi”. Per Mediaset, con lo sceneggiatore Jean Ludwigg, ha scritto “Il silenzio dell’acqua”, un crime mystery di ambientazione marittima incentrato sul mistero della sparizione della giovane Laura Mancini e le indagini condotte dai protagonisti, che saranno interpretati da Ambra Angiolini e Giorgio Pasotti. Con Leonardo svisceriamo gli aspetti legati alla scrittura e al genere, che sulla generalista italiana, checché se ne pensi, non è ancora ben consolidato.
Come è nata l’idea della serie?
Con l’insediamento di Daniele Cesarano alla testa della fiction Mediaset e dopo il suo incoraggiante discorso agli sceneggiatori in cui invitava a mandare dei progetti seriali, io e io mio collega e amico Jean Ludwigg (co-creatore di “Un bel posto per morire” che cambierà titolo in “Il Silenzio dell’Acqua”) abbiamo ideato e mandato diversi concept. Daniele ne ha apprezzati diversi ma mi disse di cercare qualcosa in particolare: un mystery… ispirato alla tradizione inglese. Io e Jean abbiamo rapidamente trovato il tema di racconto che ci interessava esplorare… di cui però non parlerò per non rovinare una delle scoperte più importanti che lanciano e indirizzano l’indagine..
Il murder mystery è un genere poco frequentato dalle fiction generaliste italiane, ma anche da quelle internazionali (non è un caso che serie così vengano trasmesse principalmente sulle reti cavo, il cui pubblico è più avvezzo alle strutture romanzesche, es. “The Killing”, “True Detective”). Di solito si punta sul crime procedurale, dove il colpevole è acciuffato alla fine dell’episodio. Anche “Non Uccidere” di Claudio Corbucci, su Rai 3, pur proponendosi come una novità nel nostro panorama seriale, diluisce il mistero centrale nei crime verticali disseminati lungo la stagione. Secondo te, questo tipo di crime può funzionare anche sulle tv pubbliche e commerciali?
Prima una precisazione, parlerei di mystery, proprio come ho fatto poco fa. La serie parte con la scomparsa di una ragazza, motore iniziale delle indagini. E poi va detto che questa serie è nell’anima decisamente british più che americana (anche se c’è una serie storica americana di riferimento tra i modelli che abbiamo seguito: Twin Peaks). In Inghilterra i mystery sono prodotti assolutamente mainstream, anche quando prendono forme più autoriali, come ad esempio in Top of the Lake di Jane Campion. La nostra serie non è un noir hardboiled di scuola Ellroyana, come True Detective, e nemmeno un thriller crime scandinavo come The Killing. Quindi la risposta è sì, si può creare dei (murder) mystery orizzontali anche per la generalista, contenendo il modo in cui si affrontano temi anche scottanti, non indulgendo nella violenza grafica e senza cedere al cinismo, proprio come fanno gli inglesi… e come hanno fatto gli americani in almeno un caso eclatante, ovvero la madre di tutte le moderne serie orizzontali: Twin Peaks.
Sbirciando la trama della serie ho colto due belli omaggi a due grandi telefilm: il nome della vittima, che richiama quello di Laura Palmer e il paesaggio marittimo che ricorda “Broadchurch”. Cosa ti ha ispirato, cosa ti ha guidato lungo la scrittura della serie? Ti sei lasciato suggestionare da particolari film, romanzi, da un certo tipo di musica?
È proprio il mystery inglese da Agatha Christie in giù che ha ispirato questo racconto. Una storia che vuole essere realistica, senza rinunciare al genere, coinvolgente senza essere iperbolica. È una serie low concept, dove i personaggi sono più importanti della trama stessa… cioè l’indagine che si sviluppa intorno al personaggio della giovane Laura che – ovviamente un omaggio sentito a Twin Peaks – è l’asse portante della serie. Direi che le principali fonti di ispirazione di questa serie sono Broadchurch, Top of the Lake, Mayday (misconosciuto mystery inglese), Happy Valley, Shetland e Twin Peaks. Sono tutti modelli che non solo ci hanno ispirato ma che abbiamo anche studiato. Durante la scrittura della serie, inoltre, ho letto di tutto, dagli scandinavi Hakan Nesser e Viveca Sten, all’islandese Ragnar Jonasson o degli inglesi come Colin Dexter e Peter May. E mi sono fatto avvolgere dalle musiche di Max Richter.
Cosa differenzia “Il Silenzio dell’Acqua” dai crime mystery che più apprezziamo? Qual è il suo elemento distintivo?
Prima di tutto il fatto che non è di matrice americana. E poi come ho detto poco sopra, la sua natura low concept. La scomparsa di Laura scatena una serie di conseguenze che risuonano nelle vite private dei personaggi… e che si collegheranno alle indagini ovviamente. Non sono linee di racconto soapish ed eterogenee ma collegate all’asse principale di racconto, non necessariamente sentimentali (o almeno non nel modo in cui siamo abituati a intendere il racconto sentimentale) e soprattutto tutte articolano il tema principale di racconto… che capirai progressivamente guardando la serie. “Il Silenzio dell’Acqua” è una serie dal racconto asciutto, senza fronzoli, molto realistica e informato a un drama adulto e sobrio.
In quanto tempo è stata ultimata la scrittura? Quanto tempo è passato dall’idea iniziale alle sceneggiature finite?
Mi rendo conto ora che ci è voluto un anno esatto. Il concept è del 18 aprile 2017 e l’ultima versione di sceneggiatura è del 18 aprile 2018! Insomma, siamo stati delle macchine da guerra, in due, per riuscire a sviluppare una serie di 8 episodi in 12 mesi esatti.
Come ti sei diviso il lavoro con il tuo partner di scrittura, Jean Ludwigg? Vi siete distribuiti delle linee narrative, dei personaggi o avete fatto entrambi un po’ di tutto?
Abbiamo fatto un po’ di tutto e ci siamo sentiti costantemente, ogni giorno, domenica e festivi compresi, per discutere e scrivere. Le puntate sono scritte letteralmente a quattro mani e non c’è una singola scena che non porti l’imprinting di entrambi. È stato un lavoro davvero simbiotico.
Progetti per il futuro? Puoi anticiparci qualcosa?
Sono stato preso in esclusiva da Lux Vide per un anno. Sto già lavorando ad alcune cose per loro, serie già avviate e serie nuove. Non sarò creatore di serie, almeno per il momento, ma una mente che coadiuverà delle serie ideate da altri. Se poi ci sarà spazio per miei progetti personali in Lux, solo il futuro lo dirà. Anzi, torno al lavoro… Grazie per l’intervista!