PromemoriaIl governo perfetto per noi imperfetti

Il governo che abbiamo sognato è finalmente nei suoi pieni poteri. Cosa chiedere di più dalla vita? No, non è ironia ma la presa d'atto di quel che passa il convento, dell'aria che tira nel nostro...

Il governo che abbiamo sognato è finalmente nei suoi pieni poteri. Cosa chiedere di più dalla vita?

No, non è ironia ma la presa d’atto di quel che passa il convento, dell’aria che tira nel nostro paese. Un governo come asettica somma algebrica di due volontà popolare (due elettorati diversi), diventati maggioranza nel governo pentaleghista, è in qualche modo il governo perfetto per l’Italia di oggi, de-ideologizzata e frantumata nei suoi valori (abbiamo più costituzioni a seconda degli opportunismi), sommersa dalle opinioni e spesso incapace di leggere i fatti, propensa più al consumo (le code per comprare smartphone) e incapace di fare “mercato” (mortificazione delle competenze e del merito altrui), autoassolutoria sempre con se stessa ma inquisitoria con gli altri (tutti in piazza a suon di vaffa a chiunque). Si dice sempre così quando non ci si sente rappresentati dai vincitori ma non siamo lontani dalla realtà dicendo – evocando uno spot anni 80 – per un paese ridotto così ci vuole un governo dello stesso peso specifico. Tutto è talmente friabile che l’aria fritta è paradossalmente il mood vincente oltre ogni elementare ragionevole obiezione.

Ecco perché non ci si deve stupire della totale assenza di orizzonti valoriali di riferimento di questo governo semplicemente – in un nesso tra causa effetto – esso non ne possiede ed è figlio legittimo di questa società post-baumaniana ovvero una società che va oltra il liquido, sempre più aeriforme o, per dirla con una recente battuta strepitosa di Renato Brunetta, esoterica e inverterbrata. Su questo gli insulti al presidente della Repubblica Mattarella e i riferimenti al fratello ucciso dalla mafia mentre si organizzano le navi della legalità sono indicativi dello sfascio morale a cui assistiamo. Si può dire in altre parole che il grillismo si sta impadronendo di noi e tutto ciò è preoccupante sociologicamente.

Con il governo Conte l’effervescenza dei propositi maschera l’evanescenza delle possibilità proprio per questa incolpevole aridità di fondamenta culturali a cui si accompagna una poco sufficiente analisi dei dati in possesso. Un’assenza che – sia chiaro – è pervasiva e diffusa oltre che in tutta la compagine politica (sinistra, destra, centro) anche nella società e sopratutto nelle nuove generazioni divise tra tuttologi da tastiera senza leggere un quotidiano e un libro e i pochi meritevoli che fuggono dal paese disgustati e mortificati dallo stato delle cose.

Per questi motivi – a mio avviso – è chiaro che il premier Conte può limitarsi legittimamente ad eseguire null’altro che un contratto senza chiedersi un perché critico lasciando poi che la barca vada in ordine sparso, non preoccupandosi che il contenuto non abbia una logica come quando l’alunno scrive sul tema tante subordinate senza una frase col verbo reggente. il destino di questo esecutivo è eseguire certamente “per tabulas” ma non sembra preoccupato di introdurre altre categorie di ragionamento come le modalità di attuazione delle promesse ma sopratutto le idee di fondo, le interdipendenze della storia, gli equlibri geopolitici e – andando più in profondità – consideranre la lotta di tutti giorni tra coerenza e imprevisti, le nobili e giuste sfumature del relativo sempre non svendendo i propri ideali positivi ordinati al bene comune.

Da quel che si osserva, probabilmente la somma di elettorati può formare governi ma non lascia traccia di passioni ideali. Ciò detto è il governo che il paese eredita da se stesso, Il governo perfetto per il popolo da non disturbare , provocare eticamente alle proprie responsabilità. Un esecutivo dunque che cambia tutto ma – parafrasando Liliana Segre – lascia inalterata e anestetizzata la coscienza civica dei cittadini di un piange e “fotte” con spregiudicatezza, un italia del patriottismo di maniera dopo lo sfottò di un burocrate tedesco ma continuamente in costante lamento per i politici salvo poi fare sottobanco ciò che si rimprovera loro. Poteva il governo del cambiamento cambiare il male “originale” cioè richiamarlo con durezza e amore alle proprie responsabilità?

Macché, è più facile farla semplice: pensioni per tutti (falsi invalidi inclusi), redditi di cittadinanza come se piovessero polpette, rafforzamento dell’Europa (strizzando però l’occhio ai paesi di visegràd, gli stessi che ci chiudono le porte alla ricollocazione dei migranti), appartenenza alla Nato (ma anche aperti a Putin), flat tax progressiva (copyright Toninelli) e via via senza il pudore di discernere tra propaganda e realtà, confortati dal vuoto di sostanza di un paese imprigionato dai suoi stessi selfie.

Sono le amare considerazioni di una porzione di classe dirigente che vede nascere un governo in cui è scomparsa la scuola, la memoria, uno sguardo sapienziale al passato accredtando con onestà intellettuale il buono che è stato fatto. Cosa ce ne facciamo di chi ci ha preceduto per le vie della politica, della letteratura, dell’arte e della poesia, della musica e del cinema? Secondo l’oggi messianico del trio Conte-Salvini-Di Maio dobbiamo forse prendere questi files e spostarli nel cestino? Poi magari aprire i social e indottrinarsi come discepoli via dirette facebook?

Iniziando dai colleghi insegnati sconfortati, col passare dei giorni si ha voglia di mollare (sopratutto nei territori di sinistra) e la migrazione dei pensieri è in atto. L’unica magra consolazione si intravede in una nemesi per i tempi futuri: ovvero se il presupposto è l’oggi volatile, ci si consolerà col fatto che non ci ricorderemo più nulla di questo cambiamento incolore, insapore e anaffettivo.

Insomma, una botta (di contratto) e via.

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