Una foto fatta bene su LinkedIn, un profilo superstar, contenuti che incollano le persone allo schermo, possono aumentare la tua esposizione del 1000%… ma a chi importa davvero?
Tra le tante parole inglesi che sono entrate nel nostro linguaggio comune, personal branding è quella alla quale sono più legato.
Perché significa qualcosa di buono. Per come l’aveva spiegata Tom Peters almeno.
La possibilità di fare qualcosa di più. Di valorizzarsi più di sperare che qualcuno si accorga di noi. E la responsabilità, la responsabilità nostra che ciò succeda o meno. Con le parole di Tom… in parte è una buona notizia.Di cattive notizie, controindicazioni, ce ne sono diverse.
Innanzitutto, il Personal Branding è inevitabile, dobbiamo tutti farci i conti.
Poi c’è il grande rischio di non capire di cosa si tratti davvero. Di confonderlo con una riverniciata, una spruzzatina di colore qua e là, con un logo o una fantasiosa headline.Ma il rischio più grande è pensare che sia la soluzione. La soluzione a tutto.
Il Personal branding, insomma e invece, potrebbe essere sopravvalutato
Gà qualche anno fa su Inc.com era apparsa una provocazione interessante di Jeff Haden.
Due curricula. Il primo mette in evidenza i network sociali e professionali della persona, quanti Mi piace ha ricevuto e quante visualizzazioni ha il suo blog — il tutto con un design elegante e colorato. Il secondo descrive semplicemente i risultati che la persona ha saputo raggiungere e in quale maniera l’azienda per cui lavorava ne ha beneficiato.
Quale profilo pensi sia più attrattivo?Jeff crede che le aziende preferirebbero una persona che si impegna con il proprio team piuttosto che un marchio stellare.
Idea resa probabile anche dalle prime due soft skills richieste dai datori di lavoro: comunicazione e lavoro di squadra*.
* tali erano nel 2016, qui invece le piiù richieste ogggi e nelle prime 5 si esprime ancora senso per il discorso di Jeff.
Paradossalmente dunque creare una presenza abbagliante potrebbe non solo essere inutile ma persino dannosa.
Più sinceramente penso il rischio più probabile possa essere un altro: perdere focus.Ci ragionavo l’altro giorno proprio su LinkedIn: trovare “lavoro” (inteso anche come clienti) non è il tuo lavoro.
Impiegare un tempo esagerato, e studio, e soldi, per padroneggiare social, marketing, per creare un personal branding da urlo, da una parte può sbloccare molte opportunità. Dall’altra toglie tempo a quelle attività fondamentali, come formazione, studio, esecuzione, che possono posizionarti davvero in alto nel tuo settore.Ciò che ho detto può sembrare paradossale ma non lo è. Si tratta invece di un equivoco.
Il personal branding, per quasi tutti, si crea nella vita di tutti i giorni, dal vivo, e si diffonde e riporta nel mondo on line.
I social sono l’amplificatore, non il luogo dove si può creare ad hoc.
A meno che tu non faccia qualcosa di strettamente attinente al mondo digitale.In altre parole, è ciò che diceva Seth ne La Mucca Viola: creare un prodotto straordinario e non cercare di farlo diventare straordinario con la comunicazione.
Altro termine che spiega ancora meglio il concetto, anche nel nostro italiano, è Reputazione.Una foto fatta bene su LinkedIn, un profilo superstar, contenuti che incollano le persone allo schermo, possono aumentare la tua esposizione del 1000%… ma a chi importa davvero?
Fare bene il tuo lavoro, avere clienti che parlino bene di te ha invece un impatto.
Non dico che il Personal Branding non abbia alcun senso. Anzi. Però dipende.
Se sei uno scrittore che non vuole passare dall’editoria tradizionale, se sei un blogger da prima che nascesse il termine, se sei un digital qualcosa, allora il Personal Branding dovrebbe essere in cima alla lista.
Se stai cercando lavoro è probabile che sia più sensato uscire ed incontrare più persone possibili. (non lo dirò ma anche il calcetto è un’opzione migliore)
Se sei il CEO di un’azienda che fattura miliardi, il Personal Branding avviene quasi sempre in modo naturale.
Se la tua azienda non si regge in piedi, il Personal Branding è l’ultimo dei tuoi problemi.
In quasi tutti i casi, ciò che serve è un Minimum Personal Branding: un’immagine essenziale che racconti chi sei, cosa fai, dove stai andando.
Un’immagine chiara e non accecante.
Per non accecare soprattutto Te.
1 Giugno 2018