La City dei TartariSono caucasico – Dialoghi con tassisti, ennesima puntata

'Sono caucasico!' mi dice il guidatore di Uber che mi ha fatto montare in macchina di fronte ad una Grosvesnor Square popolata di monaci buddisti che vagano nelle prime ore della sera. Stiamo incap...

‘Sono caucasico!’ mi dice il guidatore di Uber che mi ha fatto montare in macchina di fronte ad una Grosvesnor Square popolata di monaci buddisti che vagano nelle prime ore della sera. Stiamo incapsulati nel traffico verso Heathrow e ammiro la sua barba bianchissima e gli occhi di un azzurro di lapislazzulo. ‘Tutti siamo caucasici in Europa’, gli dico. Lui ride e mi dice: ‘No, io vengo davvero dal Caucaso’ e mi mumbla una repubblica ex-sovietica fra Georgia e Elsewheristan. Il sole di giugno sfilaccia nuvole impazienti di diventare tempeste altrove e mi fa vedere alcune foto dal villaggio dei genitori, da cui e’ venuto via ventidue anni prima. Come me. Montagne coperte di neve, cieli azzurri e castelli arditi, frontiere, penso. Frontiere e posti inaspettati, per chi non comprende che l’Europa e’ un affare non di poco conto. Si estende per migliaia di chilometri verso la Siberia, scivola verso fin quasi il Mar Caspio e, si sa, le lingue che parliamo, la forma genomatica di quello che siamo nasce dall’India, dall’Iran. Siamo genetica che si e’ trasformata nei millenni, con un’etica, presa chissa’ dove, di essere di qualche tipologia migliore di ogni altra razza attorno. Senza averne la minima giustificazione.

Osservo l’autista, lo sguardo caucasico e fiero. Siamo arenati nel traffico, come il battello de La Tempesta e, nella serata londinese dai colori mariani, mi sembra di essere in macchina con Prospero. O Zeus.

Siamo in un momento nuovo della storia di questo continente, a voler essere stretti, perche’, in realta’, siamo in un momento nuovo, inedito, inaudito, della storia dell’uomo. Quasi come nel XVI secolo, quando la scoperta dell’America porto’ all’improvvisa apertura del mondo occidentale di nuove terre, di nuove razze, di esseri umani che, all’epoca, erano considerati come alieni, abitanti di terre lontane e ostili. Ergo, non aventi gli stessi diritti dei conquistatori e degli esploratori.

Quando i primi ‘selvaggi’ arrivarono sulle coste europee, infurio’ il dibattito se fossero esseri umani o no, nelle scuole di filosofia e di religione. Erano i secoli prima dell’illuminismo, appena abolita la schiavitu’ e l’inizio dell’era dei diritti umani e dei lumi. Chi erano gli abitanti delle Americhe e quale meccanismo infernale aveva creato popolazioni che non solo erano state separate dal mondo per decenni, ma non conoscevano la parola di Cristo (ma avevano patate, pomodori, cioccolato e caffe’) o che, per le conoscenze dell’epoca, non potevano avere la stessa origine degli abitanti della parte di pianeta conosciuto?

Ma l’aspetto che sciocco’ piu’ di tutti gli esploratori era che queste popolazioni avevano sviluppato le loro stesse regole, strutture di societa’ anche avanzate e progredite, con codici legali, di comportamento, con contratti sociali che permettevano la convivenza. Quando oggi leggiamo con orrore le storie di decapitazioni degli Incas o degli Aztechi, non dimentichiamoci che quelli erano in Europa gli anni delle feroci guerre di religione, dei massacri porta a porta a Parigi contro gli ugonotti, delle Egire, delle streghe e degli scienziati messi al rogo in pubblica piazza. In centro a Roma. Dai cristiani.

Gli Oceani diventarono da spazio ignoto e pauroso uno strumento di relazione e di comunicazione fra parti del mondo. I traffici attraverso l’Atlantico e il Pacifico di spagnoli, portoghesi, inglesi ed olandesi crearono la prima grande rete relazionale del pianeta dopo le strade romane e la via della seta di memoria Marcopolesca. E nasceva la sfida enorme di incorporare e classificare questa esplosione di differenze. Nuove razze, nuovi animali, orizzonti e terreni nuovi, tralasciando le nuove stelle che nessuno ci crede che fino al 1492 nessuno sapesse della Stella del Sud.

Cieli nuovi e terre nuove. Una promessa biblica di una seconda opportunita’. Era questo il sogno dei padri pellegrini, di chi scappava nascosto nelle galee e, da un altro lato, l’incubo degli schiavi deportati, dei prigionieri portati in zone malsane a bonificare. Anche per loro, terre nuove e cieli nuovi, dopo giorni e mesi in mezzo a mari alieni. Un mondo abitato da mostri, da calebani, da esseri mitologici. Ma che si fecero sterminare senza pieta’, da malattie, colubrine e ignoranza.

Nasceva un nuovo mondo, quello del meticciato, quello delle mille definizioni date a chi nasceva da due razze diverse: meticcio, quarterone, cafuso, caboclo, zambo. Alcune di queste usate per scopi dinegratori ma, prese assieme, le nuove forme di meticciato furono un laboratorio di un mondo diventato fucina di cambiamento e di rinnovamento. Melting pot si dice oggi. Meticciato lo chiamarono spagnoli e portoghesi, dal latino ‘medium’. una parola non traducibile in inglese, se non con half-race, ma il concetto era diverso. Dall’unione di due tradizioni ed esperienze umane, ne nasceva una terza, forse una quarta. O forse nasceva una consapevolezza diversa, che quello che siamo oggi non e’ il risultato di unioni stechiometriche di due DNA diversi, di due etnie e societa’, ma un continuum, un incarnarsi del Mondo Moderno, quello senza confini, senza limiti, e con un desiderio incredibile di eresie costruttive e di dionisiaco. O di esotico. Nel senso di esterno, esteriore alla norma.

Nel meticciato nasceva un’opportunita’. E quella commistione di colori di pelli e di occhi, di lingue e di tradizioni, di riti religiosi e di riti, sono alla base di quello che ci rende progressivi e aperti, alle differenze, agli altri. Perche’ il meticcio era l’uno e l’altro, era qualcosa di tutto e qualcosa del niente che siamo. Aria e rituali. Carne e spiriti ribelli. Ariel, Prospero e Calibano in una stessa persona.

Soprattutto, il meticciato era l’esperienza umana del trasmigrare, dello spostarsi per il mondo che generava variabilita’ cromosomiche inaspettate e che produceva creativita’. Non esiste la purezza di razza negli uomini, o, detta meglio, non esistono meriti attaccati al DNA che portiamo in giro. Perche’ siamo tutti risultato di meticciati invisibili, non apparenti. Che hanno modificato il mondo in cui viviamo per millenni. Siamo emigranti, schiavi e schiavisti, impauriti guerrieri contro mulini al vento e persone che si nascondono dentro gli stessi mulini per evitare le persecuzioni.

E, oggi, all’alba del momento cruciale della nostra storia umana in cui le macchine potrebbero avere una loro intelligenza propria, e, forse, emozioni, dobbiamo riappropriarci di questa differenza e di questa diversita’, riabbracciare il valore degli altri come spazi da scoprire e non come piante infestanti da estirpare. L’altro nel senso politico ed in quello sociale. L’altro che arriva in Sicilia dopo mesi di viaggio fra deserti e mari cimiteriali, l’altro che cerca lavoro dopo lauree inutili e con speranze in versione CV europeo, con una stanza a casa dei genitori alla periferia di una qualsiasi citta’ Italiana. Diciamo Padova, giusto per fare un nome.

Abbiamo i piedi fra due ere, l’Antropocene ed il Tecnocene e il rischio che abbiamo di fronte e’ non solo sociale, ma esistenziale. L’uomo moderno si e’ collocato in uno spazio dove l’esperienza fisica non collima con la velocita’ delle cose e degli eventi. Sempre in cerca di conoscenza e di saggezza, abbiamo preferito l’informazione. E tantissima. Affogati dai dati, come abbandonati in un mare di cose che ce ne potrebbe fregare meno di sapere, ignorando che l’arte suprema e divina dell’evoluzione era rendere piu’ adatti alle circostanze e non piu’ onniscienti. Un processo in levare e non in aggiungere. Ridurre la frizione con il mondo, rendersi allineati alle circostanze, senza rimanerne vittime.

In tempi di Purismo Populista, in cui si rivendicano verita’ parziali con il supporto di bugie e paure ancestrali, ci vorrebbe una forma di Meticciato Progressivo. Muoversi da una concezione del mondo che non ha futuro se non attraverso la riduzione di tutto il logos sociale e politico a dicotomie elementari, banali, anche ad una sintesi razionale ed emotiva delle nostre aspettative e delle nostre domande fondamentali, ma senza aver paura della differenza con gli altri.

‘Siamo tutti caucasici’, come siamo tutti africani, asiatici, siamo tutti quello che siamo e questo ci basti. Siamo sogni e paure, un momento nella storia dell’universo che passa e svanisce in un attimo. Di noi rimane solo un’ombra di desiderio e di futuro, chiamale azioni, penso, chiamale figliolanza, chiamala cortesia verso gli altri, o chiamala intolleranza, odio, ignoranza. Siamo quello che lasciamo aleggiare come ultima vibrazione prima di scomparire. Nel Chissadovestan delle divinita’ marine e aeree che ci accompagnano in ogni giorno, vite mercuriali negli angoli del tempo baleno.

Siamo tutti caucasici, divini e terreni, codici macchina di carne. Nel momento vicinissimo a quando una macchina elettronica dira’ ‘Io!’ e lo dira’ e pensera’ continuamente una consapevolezza che abbiamo, di solito, di fronte alle cose che ci convincono, che ci commuovono e che ci rendono, anche nella fattispecie di chi viene pagato e remunerato per odiare, unici.

Il meticciato politico si impone, proprio perche’ non esistono (come non sono mai esistiti fino a quando Marx prese dimora a Londra) piu’ le categorie filosofiche del mondo appena dopo la rivoluzione francese. La sfida e’ di tutti, di sopravvivenza. E questo, forse, altri lo hanno capito meglio. Probabilmente proprio quelli che credono alle verita’ alternative. Perche’ l’informazione ed i dati che si mescolano creano connessioni, creano ponti, immagini retoriche e discorsi politici che prima erano impossibili da connettere. Persone con idee simili o diverse dialogano e si scontrano su base globale.

Allora, per chi voglia immaginarsi un mondo dalle sorti progressiste, dove non sia la razza, dove non sia l’odio a dominare, dove lo stato nazione sia ripensato e riclassificato come ultimo rimasuglio della cultura occidentale, un mondo dove rappresentanza e concertazione assumino valori nuovi, un consiglio: abbracciate la meticciatura, disseminate frammenti di politiche positive, ottimiste rispetto al potenziale umano. Non si trattera’ di generare nuovi posti di lavoro, se saremo sostituiti dalle macchine, ma, forse, questionare addirittura se abbiamo bisogno di tutte quelle macchine, di quei legami con il mondo delle cose. La sfida e’ al cuore della filosofia di consumo e di generazione di ricchezza occidentale, prima che diventi modello dominante in tutto il pianeta. Evolversi, ridurre il consumo ed aumentare l’efficienza dei percorsi e processi economici, finanziari, sociali.

Diventare pragmatici ed emotivi, o ‘pragmativi’. Rispetto alle esigenze degli altri, di noi stessi, rispetto a chi ci chiede una mano. E eliminare la paura, perche’ il meticciato impone il conoscere l’altro, renderlo non simile a se stesso, ma una sorgente di ispirazione e di cambiamento. Il meticciato politico come un movimento che sia quello della mediazione, della comprensione e della rivoluzione culturale dell’accomunare, contro il dividere. Eliminare barriere architettoniche dal cuore e dal cervello e magari dal corpo.

Meticciato come forma di ‘ottimismo’ rivoluzionario. Per sostituirlo al pessimismo idealista che ci impedisce.

Arriviamo all’aeroporto, saluto il mio nuovo amico ‘caucasico pedavvero’. Heathrow, babele benigna mi accoglie. Meticcio come sono. O come vorrei essere.

Improvvisamente tutte le strade diventeranno sterrate e polverose, Come era ai tempi dei nostri nonni e bisnonni.

Cicli del Sole e della Luna detteranno di nuovo il tempo da dedicare al lavoro E quello alla preghiera ed alla lettura.

Torneremo alla normalita’ tramite un processo di sottrazione, di eliminazione di tutti quei sedimenti che ci hanno schiacciato e livellato.

Torneranno strade polverose e reimpareremo a camminare fino ai borghi in cima agli speroni di roccia, fino ai gruppi di case lungo le coste o cammineremo attraverso le periferie irredente di un paese senza padroni e padroncini.

Un paese normale dove tutto e’ ancora da creare e da scrivere per l’ennesima volta.

Strade sterrate e scarpe adatte a ricongiungere distanze con tempi a misura d’uomo’ KJ Okker – Il paese normale

SOUNDTRACK – Mtielta tamashobani – Georgian Folk Band

https://www.youtube.com/watch?v=W_4ZVhWvXow

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