Strani giorniLa Gioconda e il rumore dello sciacquone

Una cosa che provo a insegnare ai miei allievi e alle mia allieve è che l'appartenenza alla nazione non è un valore, ma un caso. Fortuito e (s)fortunato, a seconda dei casi. Non ha senso, nel mondo...

Una cosa che provo a insegnare ai miei allievi e alle mia allieve è che l’appartenenza alla nazione non è un valore, ma un caso. Fortuito e (s)fortunato, a seconda dei casi. Non ha senso, nel mondo d’oggi, coltivare questo sentimento – in una società che prova ad abbattere i confini nei modi più svariati – e che se si vuole coltivare un senso di appartenenza, il concetto di umanità dovrebbe essere il primo faro.

Poi ci sta anche il tentativo di recuperare le proprie radici, fosse non altro per capire il presente. In tal senso, provo sempre a spiegare di fronte a quel senso di smarrimento per una storia un po’ “sfigata”, o almeno così viene percepita, che – sempre se mai dovesse avere un valore questo discorso – la nostra “gloria” storica non sta in un passato di conquistatori (come per altre nazioni), ma nel fatto che abbiamo dato al mondo capolavori assoluti, dalla letteratura all’arte. Cito Dante e il suo Inferno, a tal proposito. E cito, ancora, la Gioconda. In entrambi i casi, l’universalismo di quelle opere, il fatto che tutti e tutte possiamo riconoscerci nel loro messaggio dovrebbe portare a farci comprendere la grandezza, in primo luogo, del nostro essere “umani”. Un valore che prescinde razze e culture e ci lega indissolubilmente.

Se ho fatto questa lunga premessa, è solo per dire questo: dubito fortemente che quanti e quante si sono sentiti “privati” del sentimento nazionale per il fatto che il Louvre abbia celebrato la vittoria francese ai mondiali con l’immagine del famoso dipinto di Leonardo, abbiano questa com-passione (sì, col trattino) per l’arte, per la bellezza, per l’afflato umanitario di cui anche il nostro popolo, nella sua storia, è stato indiscusso testimone. Dubito fortemente, inoltre, che abbiano anche letto o quanto meno recepito le pagine più dense e importanti della Commedia, ma qui rischio di divagare troppo.

Il “nazionalismo” e il sentimento di patria, insomma, mi sembrano qualcosa di largamente ingiustificato, in questa polemica. Soprattutto se guardiamo la terra di nessuno che è diventato il nostro Paese, a livello culturale e non solo. Viviamo nella terra che ha dato al mondo la bellezza e la scienza e che ha contribuito, anch’essa, a rimodulare in meglio il concetto di umanità (avete presente un tale Cesare Beccaria?). Cosa è rimasto di tutto questo, oggi? Oggi invece trovano cittadinanza in Italia i ben noti deliri sui migranti, tutta l’oscura mitologia sui vaccini per non parlare delle strampalate teorie sul sovranismo. E credo, in buona sostanza, che chi ha partecipato al linciaggio mediatico in questione, magari forte di questo nuovo background, avrebbe potuto protestare solo se il Louvre avesse utilizzato – nel suo intento celebrativo – il rumore dello sciacquone del water. Allora sì, sarebbe giustificabile lo sgomento.

E un’ultima cosa: Leonardo aveva portato con sé quel quadro, per sua scelta. Nessun furto, nessuna appropriazione indebita. Lo lasciò in Francia e, con ogni probabilità, Francesco I lo acquistò. Repetita iuvant. Oggi è di tutto il mondo – si riesce a provare fierezza, per questo? – anche quello che ci si ostina a schifare, e che magari ne sa molto di più d’arte e bellezza, e risiede in un museo tra i più importanti del pianeta. Agli antipodi di tutto questo, c’è il già citato sciacquone. Appunto.

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