Lo osservo, il signore in camicia di lino azzurra e i pantaloni verdolini sbiaditi, una specie di muta stagionale con gli abiti lasciati nella casa del mare. Abiti che rimangono in scatole senza naftalina, che tanto le tarme non troveranno mai lana in quei ripostigli, ad aspettare, estate dopo estate, di essere indossati. Abiti senza futuro altrove che nel rilassamento dell’abbigliamento e, come ben sanno i bagnini, dei costumi e delle etiche delle signore dabbene. Il mondo nei posti di mare si muove a scatti, si passa da zero attivita’ a frullio e rimestio di cose da fare, barche da riverniciare, insegne da aggiornare e, un tempo, nell’apertura di librerie ed edicole con quella strana collezione di libri gialli, romanzi dalle costole alte e titoli altisonanti come ‘La rabbia esplosa’ e ultimi saggi di autori che capitano di presentare le loro ultime imprese nell’ambito dei chilometri zero, ad audience indispettite dalle zanzare e dal caldo dell’ultimo sole ma non tanto da andare via. Che al ritorno in ufficio o in parrocchia si puo’ dire di aver visto tizio e caio o sempronia parlare di politica, arte, ambiente, etc etc etc etc. Visto, si intende, che tanto nessuno ti chiede di cosa abbia parlato, ma di come sembri dal vivo, piu’ vecchio, giovane o interessante di quello che si percepisce dai giornali e dalla TV.
Lo osservo, il signore, ha anche un cappello tipo Andy Capp ma chiaro, chiarissimo e traforato. Un cappello che sembra possa evitare il sudore. Sembra Montanelli, anzi, me lo ricorda. Che ho avuto la fortuna di vederlo, lo stesso Indro, passeggiare nelle pinete tirreniche, con un passo lungo ma appena claudicante, ed una risma di giornali in braccio. E questo mi aspetto dal signore, che entri in un’edicola ed ordini almeno dieci giornali, partendo dalle Alpi Marittime con la Stampa, fino al Mattino di Napoli, in una sarabanda di nomi. Incluso Tirreno cronaca di Grosseto, e Nazione cronaca di Firenze. Quelli erano i tempi prima della rete, di Twitter, dello scibile umano a distanza di pochi click su un telefono cellulare. Quel mondo dove le notizie viaggiavano quasi alla velocita’ dei clabogrammi o, a volte, delle merci. Notizie che si avvicinavano a noi con una forma di rispetto, che andava onorata facendo lo sforzo di leggere, di approfondire il contesto. Di capire cosa creava condizioni per rivoluzioni in paesi lontani, quale meccanismo sociale aveva creato un cambiamento dei costumi. E, sempre in maniera lieve, cortigiana, le notizie politiche di luglio ed agosto creavano il panorama per autunni caldi, battaglie ideologiche e crisi di governo. O nuove, nuovissime idee che avrebbero cambiato il mondo o, perlomeno, un partito politico, nella stagione dei congressi post-estivi.
Agosto era il mondo che si fermava un attimo, dove nulla sembrava turbare la pace dei lettori di risma, che tutto era transitorio, estivo, balneare. Ma dopo, tutto, doveva riconquistare vigore, energia, spazio. Per quello che era giusto. Lo osservo, il signore, che discute con amici di lunga data, persone che si incontrano ogni estate, sempre di fronte al solito banco di frutta o bancomat. Quei rituali di pochi mesi narrati in poche frasi (cit. Guccini), di cosa fanno i figli, ma dai, non sapevo che la Giusy fosse morta. Tutto quel mondo di vite operose o dimesse, lontane, immaginate in appartamenti immersi in nebbie eterne o lungo corridoi corporate senza anima, tutto riassunto in pochi minuti di aggiornamento.
Sorride, il signore in camicia azzurra. Passano alcuni ragazzi che ridono, maschi e femmine, con un chilo di inchiostro distribuito in tatuaggi che inneggiano a nomi di donna, squadre di calcio, frasi oscure di pensatori indoeuropei. Un mondo improvviso, anche quello, degli amori estivi, delle amicizie che durano decenni, forse perché’ ci si vede solo ogni dieci mesi. O persone che si confessano amici per sempre, come accadeva a me ogni estate da adolescente, per far fatica, poi, a ricordarmi ora non tanto il nome, ma anche che faccia avessero quelle persone con cui giocavo da piccolo. All’ombra delle risme di giornali e pergolati incannucciati. E in quel mondo ombreggiato e frescheggiante, si imparava una specie di didattica, di nomenclatura delle cose. In quei momenti in cui tutto rallentava, si ascoltavano le parole con una profondità diversa. Senza il rumore di fondo della vita. Si approdava, con treni, autobus, macchine utilitarie o berline di ordinanza, nei luoghi di villeggiatura. Libri sbertucciati, parole crociate, canzoni dell’estate e fuochi artificiali a Ferragosto. Paese mio non ti riconosco. Il signore in camicia azzurra ora entra in una specie di edicola, uno scheletro esanime di quello che le edicole estive erano un tempo. Lo seguo, sperando che si carichi di giornali, inserti estivi e approfondimenti in fascicoli settimanali. Sono dietro di lui, spero che cominci con una litania di giornali, magari anche il Financial Times di due giorni prima che lo guarda appeso, da una rastrelliera con riviste di gossip in almeno quattro lingue.
‘Sono arrivate le mie camicie?’ dice al giornalaio. ‘Non ancora, dottore, passi domani’. ‘Grazie e buona giornata!’
Ci rimango male. Un’edicola che fa anche da lavanderia e chissà quale altra diavoleria, forse hanno anche un giro di badanti, forniscono funghi porcini a comanda e, se uno vuole, hanno pass per discoteche litoranee. Il giornalaio/lavandaio/tuttofare mi guarda. ‘Desidera, dottore?’ ‘Un viaggio nel tempo’, gli rispondo a mezza voce. Lui mi guarda basito ‘Scusi?’ ‘Scusi, volevo dire Viaggio nella storia di Angela’. ‘Lo ordini su Amazon, gli costa meno’. Sorrido, esco. Il signore in camicia azzurra è scomparso di nuovo, come un insetto effimero, stagionale. In pochi giorni, mi sarò dimenticato il suo volto e sarà cominciata la parabola discendente dell’estate. Un’estate ormai vissuta come un novembre caldo, senza senso di passato e di futuro, di cose covate e ponderate. Un’estate vissuta tutta in superficie, sulle emozioni e sulle peregrinazioni continue di macchine ed anime lungo arterie martoriate e fatiscenti. Verso ristorantini instagrammabili o tripadvisorabili. Un’estate senza respiro, senza riposo vero, perché tutto cammina a velocità incredibili, inumane. Un’estate precaria, come nuvole temporalesche e venti leggeri ma freddi ci ricordano. Un’estate con canzoni tipo finto salsa e latinos. E senza risme di giornali. A ricordarci la bella, solitaria, inutile e fatiscente bellezza della parola pensata prima di parlare.
‘L’estate era quella stagione dove ascoltavamo il tempo rallentare così tanto che potevamo apprezzare meglio i Fugazi e le loro armonie nascoste dal rumore e dai riff’ KJ Okker
Soundtrack:
Giorgio Gaber – La Democrazia https://www.youtube.com/watch?v=3iccz42Yfxs
Fugazi – Final performance 2002 https://www.youtube.com/watch?v=6PdyR67HrTk