Lost in BusinessLinkedIn: attenzione a queste persone (il rischio è altissimo)

Un venerdì di Ottobre di qualche anno fa, una madre chattava allegramente con sua figlia. Anche a chilometri di distanza andava in scena una classica e noiosa conversazione familiare. Come stai? Ch...

Un venerdì di Ottobre di qualche anno fa, una madre chattava allegramente con sua figlia. Anche a chilometri di distanza andava in scena una classica e noiosa conversazione familiare.
Come stai? Che hai fatto? Cosa fai stasera? Stai mangiando?

Immagino la conversazione possa essere andata avanti così, scandita da bip e da faccine sparse qua e là.
Quella stessa sera, solo qualche ora più tardi, la ragazza tentò di togliersi la vita.
Nei giorni che seguirono si scoprì che la ragazza era da tempo rintanata nella sua camera, bloccata da qualche parte della tra mente e anima. Probabilmente una forma di depressione.

Di sicuro c’è che, tra le pieghe di una rassicurante chiacchierata tecnologica, neanche l’intuito di una madre riuscì ad accorgersene.
Il punto è proprio questo: se una madre non riesce a comprendere la propria bambina, cosa succede quando parlano persone che non sanno niente l’uno dell’altra?

Se una madre non riesce a comprendere la propria bambina, cosa succede quando parlano persone che non sanno niente l’uno dell’altra?

Domanda retorica.
In effetti tra le cose negative della tecnologia ci sta proprio questo: l’illusione di poter comunicare in modo efficace, h24, con pochissimo sforzo.
Gli studi invece raccontano una storia diversa. La comunicazione asincrona e privata della componente non verbale è quasi sempre soggetta ad essere inefficace, inautentica, e aggressiva.
Perché purtroppo è questo l’altro elemento da prendere in considerazione. Impegnarsi a distanza di km, senza conoscere il proprio interlocutore, o senza vederlo in faccia, la possibilità di parlare senza essere interrotto (e dunque senza essere obbligati ad ascoltare e tentare di capire), sfocia spesso in aggressività.

Aggressività che si potrebbe definire anche priva di cattiveria.
Purtroppo è la stessa mirabolante tecnologia che rischia di renderci cattivi, anche se in fondo siamo persone buone.
Impegnarsi tramite un computer o uno smartphone è molto meno ingaggiante e stancante che sostenere un dialogo faccia a faccia. Ne consegue una generale superficialità e, soprattutto, la tendenza a dimenticarsi che dall’altra parte dello schermo, fosse anche in culo al mondo, c’è un’altra persona.
In carne e ossa. Con sentimenti, emozioni, fragilità e battaglie. Che chiaramente potremmo non conoscere, e lui fare di tutto per non farci conoscere, ma non cambia la sostanza.
Il rischio c’è. Forte. Urgente.

Il rischio è divertirsi, svagarsi, tentare di apparire interessanti e magari anche riuscirci… ma perdere la nostra umanità.

È solo un post, è solo un commento

Gli studi dimostrano che solo il 7% della comunicazione è basato sulla parola scritta o verbale. Un enorme 93% si basa sul linguaggio del corpo non verbale. Qui è dove anche un post, un commento, può diventare pericoloso.
Si rischia di non essere capiti, di non avere il tempo per spiegarsi e scusarsi. Di causare un terribile effetto domino.
Sempre gli studi hanno dimostrato che l’esposizione alla negatività rende il nostro pensiero negativo; così come, per le stesse ragioni, commenti incivili, aggressivi, superficiali, tendono a generarne e incentivarne degli altri.

(Approfondimento necessario: on line, anche quando dai del cretino al tuo migliore amico, con tanto affetto, si innesca un meccanismo dello stesso tipo. Il tuo amico non si sentirà male per colpa tua ma potrebbe starci male per i commenti e le azioni che ne scaturiscono. No, la folla non è per niente saggia!)

Non è un caso che molti siti e blog abbiano disattivato la possibilità di commentare e che anche su LinkedIn da qualche anno è possibile attivare la medesima funzionalità.

Poi c’è un rischio che dovremmo conoscere bene ed è legato alla permanenza nel tempo di idee e opinioni ed allo scarsissimo controllo che ne abbiamo.

Può sembrare un’esagerazione ma ci troviamo nello stesso terreno della vicenda di Tiziana Cantone, prima sbeffeggiata sulle radio nazionali e seppellita a suon di tweet e poi pianta lavandosi tutti le mani come il peggiore dei Pilato.

Il punto è che se una madre non può comprendere sua figlia da uno schermo all’altro, è presumibile ci sia una difficoltà esponenzialmente maggiore nel relazionarsi tra perfetti sconosciuti.

LinkedIn non è un gioco

I difensori dei giochi di guerra sostengono che l’esperienza virtuale sia migliore (e innocua) in quanto qualsiasi cosa fai davanti a uno schermo non perderai mai sangue e non ucciderai mai davvero qualcuno. Lasciamo perdere gli studi e le opinioni contrarie…
Ricordiamo invece che le dinamiche sui social non possono seguire questa tesi. Un commento che ridicolizza un utente, un post che ne sputtana un altro hanno sempre un effetto reale.

La persona potrebbe stare male fisicamente, avere un danno legato al proprio lavoro, spostare ansia e problemi in un attimo dal feed alla tavola.
Anche quando le critiche possono sembrare costruttive o quando ci sentiamo in dovere di condannare una castroneria, dobbiamo sempre avere presente l’arma che impugniamo.

Perché in fondo di arma si tratta. Arma decisamente peggiore perché bandita con l’illusione che sia solo un gioco, solo un post, solo un commento.
Arma decisamente peggiore soprattutto su LinkedIn, data la natura di questo social.

Non è difficile infatti sintetizzare la natura degli utenti (persone) che lo popolano. Potremmo riassumere così:

– Persone in difficoltà per non riuscire a ottenere un primo lavoro

– Persone in difficoltà per averlo perso e non riuscire a trovarne uno nuovo

– Persone che ogni giorno devono mantenere e accrescere il proprio lavoro (liberi professionisti e aziende)

Tre grandi categorie che su LinkedIn non giocano affatto e che vivono invece il social come strettamente legato alla vita reale. Dal feed alla tavola, a cosa mangiare, dal feed alla fiducia in se stessi, è davvero una distanza molto breve.

Penna blu, penna rossa

Con questo non voglio dire che LinkedIn sia cattivo e non sono mai stato tra i fautori del “chiudete internet”. Ho sempre invece creduto alla metafora del sasso: puoi usarlo per costruire o per ferire. È sempre una nostra scelta e responsabilità.

Abbiamo tutti una penna blu e una penna rossa.

Con la penna blu possiamo scrivere pagine importanti, aiutare gli altri sostenendoli, elogiandoli, anche correggendoli amorevolmente (o civilmente) quando è l’occasione. Con la penna blu possiamo davvero costruire qualcosa di buono.

Con la penna rossa possiamo invece evidenziare tutte le cazzate che dicono le persone. Anche quando potrebbero non essere tali e anche quando, in fondo, non ci caviamo niente di buono.
Possiamo usare la penna rossa per farci largo calpestando le persone. Screditare gli altri (a volte anche con senso per carità!) per celare l’assenza di costruzione (uso della penna blu) e apparire comunque interessanti. La penna rossa, altra cosa tipica di questo mondo on line, è chiaramente più facile e veloce: è sempre più ingaggiante attaccare qualcuno anziché farsi apprezzare per ciò che si dice, fa e pensa.

Penna rossa, penna blu. A noi la scelta.

Attenzione a queste persone

A quali? No, non farò alcun nome e non mi riferisco a nessuno in particolare. Non sarebbe neanche giusto invitare a isolare gli utilizzatori compulsivi della penna rossa o comportarsi esattamente come loro.
In fondo, ne ho scritto sino ad ora, anche di loro non sappiamo realmente nulla. Magari sono solo bambini tristi bisognosi di un po’ di affetto. Magari sono solo bimbi perseguitati da bulli cattivi e diventati a loro volta.

Non ha davvero senso distruggere. Neanche a fin di bene.
Bisogna invece semplicemente fare attenzione a queste persone.

A me, a te, al tizio che ha scritto quel post e a quell’altro. Agli utenti. Perché… vi svelo un segreto?
Sono Persone.

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