InversamenteL’educazione digitale è un azzardo

Inutile che ce la stiamo a raccontare. L’educazione oggi passa anche attraverso gli schermi (tanti schermi, forse troppi schermi). Quelli che impiegano tanto tempo ai nostri figli e pure a noi geni...

Inutile che ce la stiamo a raccontare. L’educazione oggi passa anche attraverso gli schermi (tanti schermi, forse troppi schermi). Quelli che impiegano tanto tempo ai nostri figli e pure a noi genitori.

Quindi l’educazione digitale – si chiama così – inizia dai genitori stessi.

Io mi educo ogni giorno un po’ da sola perché ho la fortuna di essere aiutata dal lavoro che faccio (leggo, studio, mi informo) e un bel po’ insieme ad alcuni colleghi illuminati e illuminanti come Marco Dotti, giornalista di Vita.it e docente di Professioni dell’editoria al Corso di Laurea Magistrale in Comunicazione Professionale dei Media dell’Università di Pavia. Si occupa in particolare di etica delle nuove professioni e del digitale. Tra gli altri ha scritto un libro fondamentale Ludocrazia. Un lessico dell’azzardo di massa in cui sviscera tutte le implicazioni possibili (dirette e indirette) del gioco d’azzardo sulle nostre vite (sulle vite di tutti noi) che hanno molto a che fare con il digitale… insomma con la questione degli schermi.

Di seguito il prezioso contributo di Marco Dotti per la prima puntata di Inversamente dedicata all’educazione digitale rivolta ai genitori che parte dalle tecniche di neuromarketing, pensate per il gioco d’azzardo, ma che sono le medesime utilizzate nella costruzione dei videogame, per esempio Stiamo parlando di “neurogambling”. D’altronde l’architettura del digitale si basa sulla gamification o ludocrazia, come preferite.

«Nell’ambito dell’azzardo, specialmente online, la pubblicità di un prodotto e l’architettura di quel prodotto sono tutt’uno. L’advertising è dunque ben più che presentazione o rappresentazione di un prodotto. L’advertising non è informazione, ma un tassello di una deformazione complessiva del piano di realtà operata da un sistema che potremmo chiamare neurogambling. La pubblicità dell’azzardo costruisce abitudini. Ma lo fa in un settore dove la “fidelizzazione” del cliente sconfina nella dipendenza. Per questo l’addiction è by design, è già insita nell’architettura del prodotto, non dipende dall’abuso. E la pubblicità, come campo di colonizzazione delle nostre abitudini, è parte di questa costruzione della dipendenza».

E dalla gamification all’addiction o, se preferite, dal gioco alla dipendenza, il passo è davvero breve.

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