In altre stagioni avremmo giudicato un politico come Luigi Di Maio bizzarro. In due mesi è stato capace di tre dichiarazioni da far alzare le sopracciglia a politici, filosofi ed economisti di ogni epoca. “Con questa manovra finanziaria aboliremo la povertà “, era settembre 2018. “Voglio la vostra felicità “, inizio ottobre 2018. “Con la manovra del popolo tornerà a crescere anche la felicità dei cittadini”, fine ottobre 2018.
Neanche Silvio Berlusconi, che nel 1994 aveva promesso un umile milione di posti di lavoro, aveva osato tanto: promettere la fine della povertà e la crescita della felicità. Strano modo di fare politica quello del non più ragazzo di Napoli.
Il governo del cambiamento o del popolo, come piace chiamarlo al gruppo dirigente dei 5 stelle, sta producendo la sua prima riforma finanziaria che cambierà, a quanto dicono, la vita degli italiani. Poco importa se il debito pubblico crescendo (oggi è stabile al 131% del Pil) aumenterà. La scommessa, tralasciando i conti, è che crescerà la felicità e scomparirà la povertà.
In queste ore gira la fake news che le società di scommesse inglesi abbiano stoppato le puntate su “i lavoratori” quali soggetti che nei prossimi anni pagheranno questa legge finanziaria. Divertente ma anche molto probabile.
Oggi il governo del cambiamento, dopo le tante promesse, sembra concentrato solo sulle elezioni europee di maggio 2019, con l’obiettivo, più volte palesato da ministri, premier e vicepremier, di vincerle per cambiare le regole dell’Europa. Il tutto nella speranza di poter spendere più soldi o di trovare vaghe risorse finanziarie. Magari sfiorando il sogno di europeizzare la montagna di debito pubblico sulle nostre spalle e mantenere così le sontuose promesse della campagna elettorale.
Beh, l’Italia è uno dei 27 paesi dell’UE (fuori ormai l’Inghilterra) e per fare una riforma servono grandi maggioranze, in alcuni casi serve l’unanimita di tutti i governi nazionali.
La sensazione, ad osservare la pessima tattica del governo e conoscendo un minimo le dinamiche che solitamente si sviluppano nelle trattative tra i governi dell’Unione, è che si stia alimentando un atteggiamento da spacconi nei confronti di governi “vicini”.
E sarebbe una svista madornale se si pensasse di cambiare le regole con gli amici di Matteo Salvini. Oggi quei partiti populisti che puntano anch’essi a fare risultato alle europee di maggio hanno iniziato la campagna elettorale sbandierando quotidianamente due temi. Primo: basta immigrati e chiudere le frontiere (lasciare l’Italia dell’amico Matteo a gestirsela). Al diavolo il trattato di Schengen, la Merkel e la redistribuzione degli immigrati. Meglio seguire l’esempio ungherese di Orban (intimo amico del nuovo Matteo): qui non si passa. Secondo: basta concessioni a chi non rispetta i parametri economici. Basta con i paesi come l’Italia che sperperano soldi, non fanno pagare le tasse e non sanno gestire i conti pubblici.
Potremmo dire chi di populismo ferisce di populismo perisce. O che Angela Merkel, che nella sola Germania ha accolto più immigrati in un anno che l’Italia in cinque e che alla fine ha accettato la politica di Mario Draghi, sia stata la più grande amica del Belpaese.
Dietro l’apparente Santa Alleanza ipotizzata dal leader della Lega, che affascina molti elettori dei cinque stelle, si nascondono i più svariati interessi nazionali che rischiano di far crollare il debole castello europeo e con esso i 70 anni di pace e sviluppo creati dal Mercato Comune Europeo.
Problemi grandi, ma nulla in confronto a quanto preventivato da Luigi Di Maio: tra poche settimane, a finanziaria approvata, saremo tutti più felici e la povertà sarà un brutto ricordo del Regno d’Italia, del fascismo, della Prima e della Seconda Repubblica. È o non è il governo del cambiamento!