Strani giorniBussetti, il ministro dell’idolatria e la maledizione che aleggia sulla scuola (da sempre)

Il mondo della scuola, a livello istituzionale, sconta una sorta di maledizione per cui è destinato ad essere guidato, di volta in volta, da personaggi – più o meno lugubri, ora vagamente grottesch...

Il mondo della scuola, a livello istituzionale, sconta una sorta di maledizione per cui è destinato ad essere guidato, di volta in volta, da personaggi – più o meno lugubri, ora vagamente grotteschi, più in generale inadeguati per il ruolo che coprono – che demarcano il perenne scollamento tra paese reale e paese legale, tra aule e banchi da una parte e il palazzo dall’altra. Non è mistero per nessuno: la riforma delle riforme, ironicamente definita “buona scuola”, ha sancito il divorzio (si teme definitivo) tra la classe docente e il Partito democratico. Quello stesso partito che fino a quando era in qualche modo assimilabile al concetto di sinistra, e aveva nomi meno inutilmente evocativi, manteneva tra insegnanti e personale amministrativo una base consistente del suo elettorato. Almeno fino a quando si è deciso di imporre a quel mondo una felicità che non voleva e Renzi usò “professoroni” come insulto. Questo per capire le dimensioni di una disfatta che era più la cronaca di una morte annunciata. Quindi è arrivato il 4 marzo.

Dopo quella data – funestissima per chi tiene alle sorti della democrazia, del buon gusto e del senso del ridicolo – nel palazzo del potere è arrivato tal Marco Bussetti, ex docente di educazione fisica e già dirigente del provveditorato di Milano. Finalmente uno del mestiere, direte voi. E invece basta leggere l’Espresso, che sarà “giornale di regime”, ma ha questo brutto vizio di riportare notizie vere (che in un mondo in cui si vincono elezioni con le fake news non è cosa gradita, capisco benissimo, ma tant’è), per scoprire che ci troviamo di fronte a una sorta di prestanome: «A tracciare la rotta» si legge «non sono il ministro né il suo vice» riporta il periodico diretto da Marco Damilano «al dicastero comandano il super burocrate Chinè e l’ultrà leghista Valditara». Sospendo la valutazione politica su questi personaggi, lasciando ai posteri l’ardua sentenza. La quale, si teme, non tarderà ad arrivare. Vorrei invece soffermarmi su alcune questioni, che descrivono al meglio tutto l’evanescenza di cui il ministro è portatore.

A sentire le sue parole, infatti, un problema fondamentale che attanaglia centinaia di migliaia di studenti e studentesse, è la presenza di simboli religiosi nelle loro classi: «Il crocifisso è il simbolo del nostro cristianesimo e della nostra religione cattolica, credo sia giusto che ci sia nelle aule. Io per primo ho subito chiesto che fosse appeso nel mio ufficio» dichiarava Bussetti a margine del Convegno “Scuola e Università tra passato, presente e futuro” a fine novembre. Legando la presenza della statuetta di legno, all’edilizia scolastica. Il titolare del dicastero, infatti, aggiungeva: «La manutenzione degli edifici scolastici è un tema cruciale, una problematica che abbiamo sollevato fin dall’inizio del mandato. Sono stati già resi disponibili 3,5 miliardi per gli interventi di messa in sicurezza e messa a norma delle scuole». Adesso, che a palazzo si stanzino fondi per la messa a nuovo degli edifici scolastici è largamente auspicabile. Ma cosa c’entri la presenza del divino, rimane qualcosa che non è del tutto ben chiaro. A meno che non si attenda il miracolo, va da sé.

Ancora, ad un question time alla Camera dei Deputati, il nostro rispondeva così sul presepe nelle scuole: «I simboli della tradizione cattolica, come il presepe e i canti natalizi, fanno parte della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni e della nostra identità. La scuola rappresenti il luogo in cui sono valorizzate le più alte espressioni dei valori fondanti della nostra cultura, come la celebrazione del Santo Natale». Adesso, non sappiamo chi sia il ghost writer delle dichiarazioni di Bussetti, ma cambiare il repertorio – soprattutto se certe esternazioni avvengono a pochi giorni di distanza l’una dall’altra – sarebbe tutto a vantaggio del personaggio pubblico, a cui si eviterebbe quel fastidioso effetto “deja vu” che in politica trasforma il pensiero politico in sterile eco fine a se stessa.

E se il ricorso al fantasy biblico, tra resurrezioni e nascite miracolose, non incontra il vostro gusto, niente paura: il ministro si dà all’horror sposando la crociata contro lo spettro del “gender”. Fomentato da orde di ferventi cattolici, Pillon in testa, il nostro ha stoppato un progetto di contrasto al bullismo nelle scuole della Regione Umbria perché, a sentir loro, pervertiva la più intima natura degli adolescenti: «Ho parlato con l’Ufficio scolastico regionale e i questionari sono fermi». Questionari, per capirci, che chiedevano a studenti e studentesse di dire la loro sul grado di omo-transfobia presente nelle loro scuole. Ma niente, Bussetti è stato implacabile: « Li abbiamo bloccati, Abbiamo chiesto di rivederne la formulazione e di cambiare le modalità di realizzazione del progetto». A quanto pare, indagare sulle cause del bullismo e combatterle è indebito indottrinamento. Ma se chiedete al ministro una valutazione sul progetto stesso, egli ammetterà candidamente: «Non l’ho letto». Tutto sulla fiducia, insomma. Degli omofobi, ma che vuoi che sia?

Eppure i dilemmi della scuola sono lì, davanti agli occhi di tutti e tutte (e no, non sono i compiti per le vacanze, altro falso problema agitato come emergenza). Che impatto positivo possa avere l’adorazione della natività da parte della popolazione scolastica, rispetto ad annose criticità come la fatiscenza degli edifici scolastici è, appunto, mistero. Forse anche della fede, e lì alziamo le mani. Ma ciò non toglie che, ancora un volta, la classe dirigente che popola viale Trastevere sembra voler fare poco o nulla rispetto a problemi reali e concreti. E controbattere col poco di fatto del passato con misure che sfiorano l’idolatria, non appare – se vogliamo scomodare il semplice buon senso – una soluzione efficace. La scuola aspetta risposte su mille questioni: dagli stipendi da fame di insegnanti trattati come generici impiegati di Stato (che, con tutto il rispetto, c’è differenza tra il formare un individuo e riempire un modulo al computer), all’inadeguatezza delle strutture e delle risorse; dalla necessità di svecchiare programmi e metodi di insegnamento, alla sofferenza di allievi e allieve che scontano sulla propria pelle discriminazioni e violenze per il loro modo di essere.

Di fronte a problemi così cruciali, per cui qualsiasi rappresentante delle istituzioni dovrebbe sentire l’onere e l’onore di guidare un cambiamento epocale – e il lavoro da fare è talmente tanto, che il primo passo sarebbe, appunto, quello di fare qualcosa nell’esclusivo interesse di chi, in quelle classi, ci vive – la soluzione non sta di certo in ideologiche querelle su simboli religiosi (tanto lo abbiamo capito che usate i crocifissi per portare avanti crociate di odio contro i migranti, che cristiani non sono) o in criminali crociate contro ideologie inesistenti (e sappiamo che vi piace l’idea che si continui a picchiare il “frocio” nei bagni o nei corridoi, che la Lega alla fine ce l’ha duro anche per questo). Però noi continuiamo a tenerci personaggi, di volta in volta lugubri o grotteschi dal punto di vista istituzionale o più semplicemente inadeguati. Il governo del cambiamento, in questo, segue un’agghiacciante continuità con quelli che l’hanno preceduto.

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