Fusione Anas-Ferrovie dello Stato. Il 2018 era iniziato così. Ed è proseguito in questo modo: ipotesi di ingresso di Fs in Alitalia. Tra questi due pilastri terribili è successo di tutto: il disastro ferroviario a Pioltello, il crollo del ponte Morandi, i tentennamenti filo-statalistici del governo Conte. Basta questo per dire che il 2018 sarà ricordato come l’annus horribilis dei trasporti pubblici italiani. Incidenti, strumentalizzazioni, valzer di poltrone. C’è chi dice che tutto questo sia patologico. È il caso di Carlo Valdes, dell’Osservatorio sui Conti Pubblici (Cpi – Università Cattolica), autore di un approfondito e spietato lavoro sulla nostra compagnia di bandiera. Spietato perché quei 9 miliardi di euro di perdite, accumulate da Alitalia tra il 1974 e il 2016, vanno affrontati con realismo. Oltre mezzo punto di Pil volato via. Altrettanto non è indulgente l’amico Dario Balotta, presidente Onlit (Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni Infrastrutture e Trasporti), che osserva disilluso la norma che concede a piloti e assistenti di volo Alitalia di andare in pensione sette anni prima, rispetto alla totalità dei lavoratori. “Il Governo da decenni prosegue inutilmente l’accanimento terapeutico a spese dei contribuenti per tenere in vita l’Alitalia”, dice Balotta. Io aggiungo che siamo di fronte a una reiterazione di un voto di scambio tra Palazzo Chigi, con un qualunque inquilino, e i dipendenti Alitalia. E che dire di Andrea Giuricin (docente di Economia dei Trasporti all’Università Bicocca di Milano), alfiere del principio “libero trasporto in libero Stato”, che ha fatto sua la battaglia della mancata fusione Fs-Alitalia?
Tuttavia, io credo che il male non stia nel paziente. Per quanto colpevoli siano piloti, assistenti di volo, ferrovieri, capotreni e quant’altro, credo che l’adagio italiano della giustificazione per cui “tengo famiglia” abbia un senso. Come dare torto a chi cura il proprio orticello di lavoro e benefit perché utile per portare a casa la pagnotta? È un comportamento moralmente disdicevole, sono d’accordo. Ma c’è di peggio.
Il mio J’accuse va alla gestione scriteriata di questi inefficienti carrozzoni del trasporto pubblico. Sono passati esattamente trent’anni dallo scandalo delle lenzuola d’oro e si persevera ad abusare di questi beni imprenditoriali dello Stato, in totale disinteresse nei confronti dell’utenza. Alla faccia del cambiamento! Penso a chi ha cercato, negli ultimi anni, di venderci la favola della buonanotte per cui un trasporto integrato ferro+gomma (e ora anche ali) farebbe del bene al Paese. Manager ultraqualificati e strastipendiati, assurti a ruolo di medico capace di guarire con piani industriali a dir poco creativi una patologia, appunto, che richiede invece cure da cavallo, spurie di qualsiasi interesse politico.
Peraltro, facendo nome e cognome, Renato Mazzoncini è lo stesso manager che, da Amministratore delegato di Fs, è stato l’artefice della fusione con Anas – oggi in via di revisione da parte del nuovo board – girava l’Europa per aprire nuove frontiere, incurante degli ingenti investimenti necessari nel Paese, mentre adesso mette in guardia il suo ex gruppo per l’operazione con Alitalia. Questo matrimonio non s’ha da fare, dicono più voci, tra cui Mazzoncini. Forse perché non è farina del suo sacco. Scriteriata è stata quindi la sua gestione di Fs, altrettanto risultano i suoi strali nei confronti di un nuovo vertice societario che, con sforzi sovrumani, sta cercando di mettere delle toppe alla sua gestione dell’azienda.
Fortuna vuole però che il 2018 non sia ancora finito e forse possiamo cancellare in extremis quella accezione di annus horribilis. Dalla mia finestra lombarda infatti, osservo che qualcosa si sta muovendo in controtendenza ai disastri accumulati finora. È del nuovo Amministratore delegato di Trenord, Marco Piuri, la decisione di sopprimere le corse dei treni vuoti per sostituirle con un servizio su gomma. Evidentemente è stata accolta la nostra richiesta di provvedere a un indennizzo di solitudine per quei capitreno che operano su convogli desolati, senza poter vidimare il biglietto a nessuno. Al netto del sarcasmo però, soprattutto è stata accolta la proposta delle aziende di Anav Lombardia a un incontro, a inizio 2019, per valutare insieme come il privato possa supportare il pubblico in questa scelta importante.
Non voglio cantar vittoria. Non è l’inizio della fine, tale per cui il Tpl è prossimo a diventare un libero mercato a tutti gli effetti. Non è neanche la fine dell’inizio! È però un buon segnale, che guarda caso viene ancora una volta dalla Lombardia, e che fa capire al Paese – Governo in primis – che le cose possono essere gestite in maniera differente. Ovvero seguendo un criterio di efficienza per chi maneggia le risorse e di qualità a favore dell’utenza.