Nella palazzina Casa Bianca, in Via Ombrone 18, abitavamo al secondo piano, sopra di noi c’era una famiglia di Torre Annunziata che dedicava diversi giorni, a partire dal 12 dicembre, alla costruzione del presepio natalizio. Ogni tanto, di pomeriggio, salivo e stavo alcune ore a guardare, mi affascinava la cura di ogni dettaglio, l’odore di muschio, la sapiente sarabanda delle lucine, l’incastro dello sfondo stellato, i mulinelli girevoli nei ruscelli d’acqua, la fattura delle statuine. Da noi Natale era soprattutto l’albero, che veniva fatto insieme, l’odore di resina, i festoni argentati, le palle di cristallo finissimo, e sotto ci avevamo provato, qualche anno, a mettere le scatole dei doni, ma non resistevano fino alla mezzanotte. A Babbo Natale non ho mi creduto, alla Befana sì. Per questo tenevo la finestra socchiusa , per quando sarebbe venuta a discernere lo zucchero bianco da quello color carbone in base a come mi ero comportato.
Ora a Natale non credo più, a casa mia non faccio nè l’albero né il presepio. Mi danno anche fastidio questi segni, li trovo per lo più ipocriti.
Ma se proprio dovete fare un presepio, allora seguite questa geniale intuizione di un parroco di una chiesa in Trentino (vedi foto). Gira da ieri in Fb, e ovviamente non si può non imbattersi nella coorte di commenti cattofascisti che la vedono come un tradimento del “vero presepio”, quando a mio avviso sono loro a tradirlo esibendolo come simbolo d’immunizzazione identitaria. Eppure se c’è una cosa che rappresenta il presepio è proprio questa. L’accoglienza, in un posto di fortuna, della vita che nasce in mezzo alla precarietà. Che in fondo è la metafora di ogni vita.
Ps. Durante le feste prendetevi del tempo per stare con voi stessi, respirate al ritmo del vostro compito, per poi tornare a focalizzarvi su di esso. Forse è l’unico modo per donare senso alla vita, la morte l’amore, la sorte…