InversamenteThe Little Child alla scoperta del nostro bambino interiore

Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi. G. K. Chesterton Quando un u...

Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi.
G. K. Chesterton

Quando un uomo ha grossi problemi dovrebbe rivolgersi a un bambino; sono loro, in un modo o nell’altro, a possedere il sogno e la libertà.
Fedor Dostoevskij

Fiabe, sogno, bambino e… Jung. Non so se il famoso psicoanalista e antropologo, quando scrisse Il Puer aeternus (L’eterno fanciullo), avesse letto Chesterton e Dostoevskij, ma poco importa. Individuando la figura del fanciullo che alberga in ognuno di noi come figura archetipica – ossia immagine dell’inconscio collettivo che ha assunto forme diverse attraverso i miti e le religioni di molte civiltà – Jung ha dato un contributo fondamentale alla scoperta del nostro “se stessi”, per dirla volgarmente. La fiabe, come i sogni, che con i loro significati inconsci sono espressione delle dinamiche archetipiche della psiche, ci aiutano a comprendere le nostre zone d’ombra. Proprio quelle che, se portare alla luce, potrebbero elevare il nostro stato di coscienza. Insomma, fare un gran bene alla nostra vita interiore!

Il 21 dicembre è stato pubblicato online un racconto fiabesco molto particolare. Si tratta del microfilm senza parole The Little Child (Il bambino che è in te) del regista Michele Pastrello, prodotto dal Massimo Belluzzo per ZetaGroup srl e fotografato da Beniamino Gelain.

Come spiega Michele:

Con The Little Child ho voluto raccontare non solo una fiaba natalizia, ma anche una fiaba interiore. Perché quel mondo che ho messo in immagini può essere visto apparentemente come una storia classica di “C’era una volta”, oppure come un viaggio psicologico dentro noi stessi. Il bambino interiore, il puer aeternus, è una realtà della struttura psicologica dell’adulto, tanto da venire impiegato come sinonimo dell’Es, ossia l’inconscio individuale. Rappresenta cioè l’inizio e la fine, la creatura che esisteva prima dell’uomo e, al tempo stesso, la creatura finale, un’anticipazione di quello che la creatura sarà e della sua vita oltre la morte. Il suo tema è legato alla rinascita, alla gioia e alla creatività. Il bambino rappresenta il rinnovamento della vita, la spontaneità e una nuova apertura verso il futuro. Ma può avere anche una connotazione diversa, manifestando un aspetto distruttivo: la tendenza ad essere dipendente, pigro e a fuggire i problemi, rappresentando “l’infantilismo” che deve essere sacrificato per poter crescere. In aiuto a concepire il video mi sono arrivati gli scritti dell’allieva di Jung, Marie-Louise von Franz che analizzò l’intuizione del noto psicoanalista svizzero attraverso noti testi fiabeschi, arrivando a dire che “al di sotto della superficie delle nostre vite quotidiane esiste uno strato della vita psichica dove gli eventi scorrono proprio come nelle fiabe. I grandi miti emergono e si sviluppano a partire da tale livello per poi ridiscendere nuovamente nel profondo dell’inconscio e trasformarsi in fiabe”.

D’altronde anche nella Bibbia sta scritto: Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il regno dei Cieli; se non diventerete come bambini non potrete entrare nel regno di Dio.

In The Little Child mi ha colpito in modo particolare il fatto che l’adulto, che scalzo arriva a incontrare il suo puer, imprigionato nella rabbia, nell’abulìa e nella paura, non fa nulla di straordinario se non accogliere, alla fine, il fanciullo stesso che si libera e gli va incontro. È il bambino stesso che si libera, è lui che decide, perché l’adulto glielo ha permesso, gli ha aperto una porta e poi gli è bastato “soltanto” accoglierlo.

Per l’inizio del nuovo anno The Little Chid di Michele Pastrello è il miglior augurio che ci possiamo fare per liberarci dagli stereotipi e dai pregiudizi che ci imprigionano; per aprire gli occhi e, a piedi nudi, ributtarci (o buttarci per la prima volta) nella vita. Perché alla fine il protagonista si ritrova nello stesso bosco dell’inizio del racconto, la condizioni non sono cambiate, ma è mutato il suo cuore. E, scommetto, che quei piedi scalzi che prima doloravano per le spine nascoste tra le foglie secche del sottobosco, ora non temono né rovi né radici.

Possiamo allora tutti riscoprire il nostro puer. Come? Con un abbandono da figli! Sì, proprio da figli verso il nostro bambino interiore. Ecco allora che The Little Child rappresenta un aspetto della ricerca del padre Inversamente che mi incuriosisce e mi provoca, in particolare per il tema del perdono.

Ma questa è ancora un’alttra storia…

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