La querelle di questi giorni che vede Lorella Cuccarini sulla graticola per alcune sue frasi poco edificanti su migranti e donne, mi hanno fatto riflettere a lungo sul significato di quel “pensiero unico” che la show girl e i suoi fan più accaniti e sovranisti hanno tirato in ballo per definire e screditare gli argomenti e le posizioni di chi ha attaccato quelle idee.
A supporto dell’esistenza del pensiero unico e del suo carattere illiberale, si è messo a confronto il caso di Claudio Baglioni che sui migranti ha preso posizioni diametralmente opposte. Persino un redivivo Daniele Capezzone, folgorato sulla via di Damasco de La Verità, si azzarda nel mettere in relazione le due cose: «Per i nostri competenti e progressisti» si sfoga su Twitter, esibendo hashtag in modo forse sconsiderato «il cantante, l’attore, ecc può parlare solo se fa la lagna de sinistra» mentre se Cuccarini «osa in un’intervista dire liberamente la sua opinione, non può».
Ovviamente, la questione non è in questi termini: e cioè che l’ex più amata dagli italiani “non possa” dire ciò che pensa (e Baglioni sì). Più semplicemente, il suo pensiero suscita reazioni e vista la sua dimensione pubblica diviene oggetto di dibattito. Poi, certo, si può discutere sul degrado culturale di questo paese se ci si è ridotti a prendere in considerazione le parole — ignoranti, se permettete — della stella morente di turno, ma non è questo il discorso. Il fatto è che il rischio “pensiero unico” non esiste, men che mai se posto in questi termini, ma la sua esistenza viene agitata per screditare idee altre che possiamo definire progressiste.
Partiamo da una domanda elementare: ha senso parlare di pensiero unico in generale? A ben vedere, ogni pensiero è “unico” nella misura in cui si differenzia dagli altri. Quando Cuccarini — così come Adinolfi, il ministro Fontana o il militante di qualche organizzazione neofascista — sostiene che i bambini devono crescere con un padre e una madre e quindi esibiscono il loro no assoluto alle famiglie arcobaleno, ammette all’interno del proprio pensiero il suo esatto opposto? Ammette che ci sono bambini che crescono felici con i loro due papà o le loro due mamme? E come si pongono, gli alfieri di quelle credenze, di fronte a chi la pensa diversamente? Accettano di buon grado argomenti e ragionamenti diametralmenti opposti o si arroccano sulle loro posizioni? L’interrogativo si può estendere anche alla questione migranti, con le dovute sostituzioni.
Secondo poi: tutti i “pensieri” hanno la stessa legittimità? Ovvero possono godere dello stesso diritto di cittadinanza in uno stato di diritto, la cui Costituzione indica confini ben precisi su una serie di questioni, a cominciare dall’uguaglianza formale di tutti i cittadini e le cittadine? Un pensiero che auspica esclusione, che sancisce disparità di trattamento, che fa graduatorie di dignità tra persone — ed è questo il discorso sposato da Cuccarini, ma che riprende il dibattito pubblico più in generale e che potremmo racchiudere dentro la categoria di “salvinismo” — ha lo stesso valore di chi immagina soluzioni più difficili, in nome di principi di solidarietà, empatia e rispetto della diversità? La mia risposta è no. Ciò che mi porta a crederlo non è puntiglio ideologico — o, per usare l’etichetta sovranista, pensiero unico — bensì la constatazione che per secoli l’essere umano ha provato e prova ancora a superare quei limiti che portano la società ad abbrutirsi.
Lo abbiamo visto con la fine della schiavitù, con l’emancipazione del popolo ebraico, con le lotte operaie, con le lotte femministe e più di recente anche con le battaglie della comunità Lgbt per il matrimonio, l’adozione e l’omogenitorialità. E non è un caso che — se ci soffermiamo su queste ultime — coloro che si sono detti contrari a una maggiore eguaglianza per gay, lesbiche, trans, ecc, di fronte alle dovute reazioni e alle accuse di arretratezza culturale, hanno agitato lo spettro del “pensiero unico”.
Con pensiero unico, quindi, si potrebbe identificare dentro i settori più retrivi della nostra società — dall’elettorato leghista ai cattolici integralisti che si radunano contro le persone Lgbt, dai movimenti sovranisti più in generale alle realtà neofasciste, passando per tutti e tutte le loro supporter, ex ballerine incluse — la reazione conseguente a discorsi d’odio, di esclusione, di segregazione e di stigmatizzazione di minoranze e/o di categorie svantaggiate. Tale reazione viene dopo, così come le polemiche sulle parole della show girl sono venute all’indomani delle sue dichiarazioni. Ciò basterebbe a far capire a coloro che parlano di pensiero unico e di oscuri tentativi di tappare la bocca a chicchessia che ribellarsi a certe dichiarazioni fa parte della logica democratica e del libero pensiero.
Nessuno ha tappato la bocca a chi crede che i migranti debbano essere lasciati in mare o nei teatri di guerra, insomma. Nessuno ha evocato la censura per chi crede che le donne siano meno dotate degli uomini e per questo non arrivano ai posti di comando. Si è semplicemente fatto notare che sono idee malsane, false, ignoranti (di chi ignora, appunto). E a mostrare insofferenza, a tal punto da parlare di pensiero unico che vorrebbe “mettere il bavaglio a chi non la pensa come loro”, sono proprio coloro che si vedono criticati per quel corredo di idee che non diremo medievali perché la storiografia ha già fatto luce sul fatto che l’età di mezzo non era poi questo tripudio di barbarie che siamo abituati a credere. Ma che possiamo bollare come idee che fanno schifo. Lo dicono la storia, la Costituzione, il diritto, la Carta dei Diritti dell’Uomo, fino alla più semplice evidenza quotidiana.
Noi abbiamo tutto il diritto di ricordare a queste persone — siano esse ministri degli interni dalle disgraziate abitudini alimentari e a basso tasso di umanità, o qualche soubrette dalla scarsa capacità di lettura dei fenomeni sociali — quanto il loro sistema di pensiero sia (di volta in volta o tutto insieme) obsoleto, degradante, razzista, omofobo, disumano. Fa parte della logica democratica. Del dibattito. Serve per offrire al mondo un punto di vista diverso, alternativo, meno tossico. Piaccia o meno, lo ripeto, è un nostro diritto. E anzi, dirò di più: visti i tempi, è anche un dovere.