Reddito di cittadinanza, quota “100” e trasporto pubblico locale. Cos’hanno in comune? Poco in apparenza, molto se guardiamo bene. Facciamo alcuni passi indietro: poco prima dei botti di fine anno, il governo è riuscito ad approvare la manovra finanziaria, scansando di poco la procedura di infrazione. Quello che ci si è dimenticati di dire è dove Di Maio andrà a recuperare i soldi per il reddito di cittadinanza e Salvini per le pensioni a quota 100.
È a questo punto che entra in gioco il trasporto pubblico locale: infatti se le previsioni del governo non dovessero corrispondere alla realtà – ossia se gli andamenti tendenziali dei conti pubblici non saranno coerenti con gli obiettivi di finanza pubblica per il 2019 – scatterebbero le famose clausole di salvaguardia. Queste non si limitano a un aumento della pressione fiscale e dell’Iva, come spiega bene Luciano Capone sul Foglio, ma sarebbe necessario l’accantonamento complessivo di due miliardi di euro da parte di tutti i Ministeri, quindi anche quello dei Trasporti. Meno soldi per il trasporto pubblico locale significa solo una cosa: meno soldi per treni e autobus e danni per chi si deve spostare ogni giorno, che vedrà la qualità del servizio abbassarsi.
Infatti se a luglio di quest’anno il Mef dovesse rendersi conto che l’economia italiana non va come previsto, alcune voci del bilancio andrebbero riviste (Vedi Legge di bilancio 2019, Articolo 1, Commi 1117-1120). La previsione totale di queste voci a rischio è di due miliardi appunto e coinvolge praticamente tutti i ministeri con portafogli. Nello specifico del Fondo Nazionale Trasporti, ovvero il bacino da cui le regioni attingono risorse per il trasporto dei 29 milioni di pendolari italiani, dei cinque miliardi che gli spettano ne verrebbero accantonati 300 milioni.
Insomma, per fare cassa e salvare il salvabile si accantonerebbe parte della cifra che le regioni spendono per i loro pendolari, che verrebbero resa indisponibile fino alla fine dell’anno – nella migliore delle ipotesi – a discapito del programma “Sviluppo e sicurezza della mobilità locale”, che raggruppa i capitoli di spesa di parte corrente e in conto investimenti per il finanziamento del trasporto pubblico locale nei suoi diversi sistemi e modalità.
Per “abolire la povertà” e mandare in pensione prima i lavoratori, Di Maio e Salvini rischiano di mettere sul lastrico le imprese private del Tpl. Tuttavia, non è con un gioco delle tre carte che si sconfigge la povertà. Per combattere la disoccupazione si crea disoccupazione. Ma non è solo una questione di posti di lavoro. I tagli infatti penalizza la qualità della vita dei pendolari, che ogni giorno utilizzano il trasporto pubblico locale, amputando territori e province di quei pubblici servizi che sono essenziali per chi vi abita.
Per citare Flaiano: «la situazione è grave ma non è seria». Uno scenario post luglio 2019, con le clausole di salvaguardia che scattano, l’accantonamento forzato delle risorse e una procedura di infrazione certo non cancellata sine die mi portano a rivolgere un appello serio al Governo. Noi imprenditori del trasporto pubblico locale (ma lo stesso vale per i pendolari) siamo stufi di vedere tagli ai servizi essenziali, fatti solo per consentire a qualcun altro di farsi bello con i propri elettori. Come diceva Totò: «E io pago! E io pago!». Anche no, grazie, abbiamo già dato.