Filippo Lubrano
La Cina sta investendo miliardi in alta velocità, e ha cominciato a esportarla anche all’estero. In Italia siamo fermi a fare i conti su quanto ci fruttano le accise del trasporto su gomma.
Partiamo da due assiomi.
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Non ha senso un’analisi costi-benefici su un’opera infrastrutturale di utilizzo e bene pubblico. Se così fosse stato, il New Deal non avrebbe avuto un senso logico. Non esiste un orizzonte temporale su cui proiettarla: l’opera rimane anche oltre i 30 anni che si sono considerati nell’analisi. Il beneficio residuale continua oltre: le ferrovie che hanno steso nell’800 le usiamo ancora oggi.
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L’analisi costi-benefici, così com’è stata fatta, è faziosa e fuorviante. Mi ricorda alcuni business plan che avevo fatto in azienda, e dove il capo mi diceva di far tornare il risultato per forza negativo. Quel conto positivo delle accise sui carburanti, come se inquinare fosse bello, e viva-viva-il-trasporto-su-gomma, grida vendetta. E soprattutto, allora perché non contare anche tutte le contribuzioni positive in termini di tasse delle aziende che appalterebbero i lavori? La dimenticanza è quantomeno sospetta. Direi: faziosa, appunto.
E non vale nemmeno scusarsi, come sostiene l’ingegner Ponti, che “l’analisi non decide nulla, è la politica a farlo”, perché dopo un’opera mirata di sensibilizzazione sulla percezione della TAV come di un costo di miliardi di euro che grava sulle povere tasche degli italiani, nessun governo avrebbe il coraggio di dire “andiamo avanti comunque”. Figuriamoci un governo che non vuole realizzarla.
Per capire se investire nella TAV abbia senso o meno, facciamo un esercizio che è utile sempre: guardiamo cosa succede fuori, nei Paesi che reputiamo proiettati nel futuro.
Ad esempio: in Cina. Sì, ok, è una dittatura, non ci sono libere elezioni, non si può andare su Facebook (sai che sollievo, a volte, però?) e c’è un sistema di censura che neanche sotto il fascismo.
Ma guardiamo a un dato oggettivo: l’unico lato positivo del sottrarsi all’agone politico è che si possono perseguire obiettivi di lungo periodo, senza prendere decisioni demagogiche (per non dire populiste, termine che ormai pare aver smarrito la sua connotazione negativa).
La Repubblica Popolare Cinese cresce a tassi impensabili per qualsiasi economia europea (tranne Malta, abbiamo scoperto), e se intervistate qualsiasi cinese, anche senza censurarlo, vi dirà che la sua vita è probabilmente molto migliore di quella che ha avuto suo padre: guadagna di più, vive in città più efficienti, fa un lavoro migliore. In altre parole: ha una speranza maggiore. Che è esattamente quella che manca al popolo italiano nel 2019, molto più preoccupato a togliere opportunità a chi ne ha meno di lui che a crearne di nuove per sé.
“Ah certo ma avete visto il cielo a Pechino? Quelli non vedono mai il sole!”. Stronzate. Ci siete mai andati? E se sì, nell’ultimo anno?
L’anno scorso Pechino ha deciso di tagliare drasticamente i suoi livelli di inquinamento. Per farlo, ha pensato di usare una tecnica un po’ tranchant, ma infallibile: ha emesso una legge per cui nel giro di pochi mesi tutti gli impianti di produzione cittadini si sarebbero dovuti spostare fuori dal quinto anello (sì, la città è grandina…). Nel giro di un anno, zac: -55% di inquinamento anno su anno.
E’ una cosa democratica? No. In Italia, avremmo avuto imprenditori incazzati a vita e lavoratori che probabilmente si sarebbero aggrappati a qualche cancello.
Ha funzionato? Sì. E ha funzionato perché il governo ha pensato al benessere di lungo periodo. E ha potuto pensare al lungo periodo perché non doveva conquistarsi il voto di quei cittadini alle prossime elezioni tra 6 mesi.
Non è che sia un fan degli autoritarismi, capitemi. Ma è che ho poche righe e pochi istanti della vostra attenzione per convincervi che una dittatura, specie se sufficientemente illuminata, può fare scelte migliori di una democrazia, specie se è quella dell’Italia del 2019 (mi piace vincere facile).
Ecco, quello stesso Paese che ha fatto queste scelte, è il Paese che negli ultimi anni ha sviluppato la più grande rete di linee ad alta velocità del mondo. Non solo la Cina è prima in questa classifica: ma, con 29.000 km, ha più kilometri di alta velocità di tutto il resto del mondo messo insieme (circa due terzi della rete mondiale, per la precisione).
E’ davvero miope, come sostiene qualcun altro su questo stesso giornale, perché non pensa che il futuro è fatto di veicoli a guida automatica e auto elettriche?
No, non lo è, perché la Cina diventerà a breve il primo mercato per entrambe queste categorie – basti vedere cosa succede a Shenzhen, il vero laboratorio del mondo, dove tutti gli autobus sono già elettrici.
E allora lo fa perché questo è parte di una strategia, e l’alta velocità è un attore attualissimo sulla scena del XXI secolo, da ora fino alla sua conclusione.
Ha fatto altrettanto con il nucleare, d’altronde: lontano dall’ansia-Fukushima, i cinesi stanno installando centrali nucleari a un ritmo forsennato in tutto il Paese. Lo fanno per chiudere le centrali a carbone. Vi sembra uno scambio insensato? Ne dubito, checché ne possa sostenere il referendum post-Cernobyl (che tempismo eh!) che ci ha fatto perdere la leadership mondiale di un settore che, sostanzialmente, abbiamo inventato noi – quando ancora sapevamo fare ricerca e sviluppo.
I cinesi esportano anche il loro know-how in termini di linee ad alta velocità, vendendo i loro progetti in diversi Paesi, Turchia in primis. Investono sulle loro mille TAV domestiche, e nel frattempo connettono il mondo con la Belt and Road, la nuova via della Seta, con un investimento totale da 1.000 miliardi.
Perché lo fanno? Perché hanno una visione d’insieme. Non è un caso che gli ultimi 5 leader della RPC siano tutti ingegneri. Xi Jinping (Ping, per gli amici https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/11/06/news/quanto-e-squalificante-sbagliare-il-nome-delluomo-piu-potente-del-mondo-223111/), che è alla guida del Paese da qualche anno e ci rimarrà a lungo, sta plasmando il suo socialismo con caratteristiche cinesi sulla base di competenza e approccio olistico mirate a un obiettivo: rendere davvero questo secolo il secolo Cinese.
Il raffronto con la nostra democrazia con caratteristiche italiane, che boccia la TAV che aggiungerebbe il tassello mancante al trasporto merci e passeggeri dell’Europa intera, ma strizza l’occhio a Hyperloop per la Sicilia (https://www.ilblogdellestelle.it/2019/02/hyperloop-e-il-futuro-dei-trasporti.html), risulta ad oggi davvero impietoso.